La Cina ha intrapreso una nuova fase della sua strategia economica, ridefinendo il proprio assetto commerciale per adattarsi ai continui mutamenti del contesto geopolitico. Da un lato, Pechino indirizza i propri sforzi a esercitare una pressione sulla Russia affinché adotti una soluzione pacifica al conflitto in Ucraina, riducendo così il sostegno economico che le consente di eludere le sanzioni occidentali; dall’altro, si prefigge di rafforzare e consolidare i legami con l’Unione Europea, riconosciuta come un partner strategico essenziale per preservare la propria posizione nel panorama globale.
Negli ultimi mesi, i dati ufficiali rilasciati dall’agenzia doganale di Pechino hanno evidenziato una diminuzione del 10,9% delle esportazioni cinesi verso la Russia nei primi due mesi del 2025 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre gli acquisti dalla Russia hanno registrato un ribasso del 3,9% su base annua.
Una contrazione che risulta particolarmente significativa soprattutto se si considera che, durante il periodo della guerra in Ucraina, il commercio bilaterale aveva raggiunto livelli straordinari, con un fatturato che era aumentato da 67 miliardi di dollari nel 2021 a 115 miliardi nel 2023. Questa inversione di tendenza sembra indicare che Pechino stia volontariamente rivedendo i propri flussi commerciali, preoccupata dal progressivo riavvicinamento tra la Russia e gli USA, spinto dalle politiche adottate da Trump.
Allo stesso tempo, la Cina intende far pesare sulla Russia il peso della propria forza commerciale, limitando il sostegno economico che Mosca potrebbe trarre da tale alleanza. In questo contesto, Pechino non agisce per ragioni ideologiche o per un incondizionato allineamento strategico con Mosca, ma per la consapevolezza che mantenere rapporti troppo intensi con un partner che si sta avvicinando agli Stati Uniti comporta rischi significativi sia sul fronte commerciale che diplomatico.
A tal fine, Pechino ha compreso l’urgenza di rafforzare i legami con l’Unione Europea, riconoscendo che la crescita e la continuità dei flussi commerciali dipendono dalla capacità di diversificare i partner economici e di ridurre la dipendenza da mercati sempre più instabili e soggetti a pressioni internazionali. Come riportato recentemente dalla Reuters, in un recente vertice UE–Cina, ad esempio, un alto funzionario cinese ha sottolineato che “l’Europa è ormai il nostro mercato strategico”, evidenziando come Pechino stia cercando attivamente di consolidare una relazione multilaterale più equilibrata.
Tale approccio si inserisce in una visione strategica più ampia in cui la Belt and Road Initiative (BRI), la Nuova Via della Seta, assume un ruolo chiave come strumento geo–economico e geopolitico. Una strategia più flessibile che dopo anni di investimenti massicci in infrastrutture destinati a collegare l’Asia all’Europa passando per la Russia, ha portato la Cina ad orientarsi verso progetti che recentemente The South China Morning Post ha definito small yet smart che privilegiano settori come l’energia verde, la digitalizzazione e la connettività logistica, per adattarsi alle nuove dinamiche e mitigare i rischi geopolitici emergenti avendo meno rischi finanziari e maggiori ritorni a livello locale.
Christoph Nedopil Wang, direttore del Griffith Asia Institute, ha definito questo nuovo modello “BRI 2.0”, poiché rispetto ai colossali progetti iniziali, attraverso la partecipazione del settore privato garantisce l’efficienza degli investimenti infrastrutturali, la sostenibilità ambientale e il rischio di indebitamento.
Nel frattempo, l’Unione Europea si trova ad affrontare una sfida cruciale, poiché l’impatto delle sanzioni promesse da Trump rende l’accesso al vasto mercato cinese un’opportunità economica di vitale importanza. I leader europei, infatti, sono sempre più consapevoli del fatto che un rapporto economico basato esclusivamente su interessi commerciali potrebbe far rimanere l’Europa intrappolata in una relazione asimmetrica, in cui le decisioni strategiche sono fortemente influenzate dalla dinamica di potere cinese.
Il de-risking auspicato da Ursula von der Leyen rimane un tema centrale, ma il governo cinese sembra più che mai intenzionato a rassicurare l’Occidente ribadendo il proprio impegno per la pace e per una cooperazione economica equilibrata.
Alla luce di tali sviluppi, è evidente che la contrazione dei flussi commerciali verso la Russia non rappresenta un episodio isolato, ma si inserisce in una strategia più ampia volta a rafforzare la posizione della Cina nel contesto della Nuova Via della Seta, riorientando i propri investimenti verso partner più affidabili e stabili, come quelli europei, provando a mettere in sicurezza il proprio sistema economico dall’impatto dei conflitti geopolitici.
Questo ricalibro, che unisce pragmatismo economico e lungimiranza diplomatica, dimostra chiaramente che per Pechino mantenere un rapporto solido con l’Europa è una priorità strategica, mentre l’UE, pur riconoscendo i benefici economici di tale relazione, deve trovare il giusto equilibrio fra i vantaggi della cooperazione e la necessità di garantire la propria autonomia. Ma al momento i rapporti di forza fra Cina ed Unione Europea sono asimmetrici: infatti Pechino, avendo una proiezione globale e giocando su più tavoli, sembra in grado di sfruttare a proprio vantaggio la flessibilità dei flussi commerciali, mentre l’UE – che è al momento priva di una vera autonomia strategica – rischia inevitabilmente di ritrovarsi costretta a stringere legami di dipendenza con la Cina, accettando compromessi che ne compromettono la capacità di agire in modo indipendente.
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