Tunisi e Bruxelles: tra questi poli si sta giocando questa fase del governo Meloni. Un duplice braccio di ferro dove l’Italia si gioca una fetta di credibilità internazionale e di solidità interna. Quello che sembra più promettente è il fronte nordafricano. Dopo la visita bilaterale dei giorni scorsi, ieri la presidente del Consiglio italiana è tornata in Tunisia questa volta accompagnata dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e dal primo ministro olandese Mark Rutte: il vertice delle istituzioni europee e un premier annoverato tra i “falchi”. Il summit lampo (è durato poche ore) segue di pochi giorni la travagliata intesa raggiunta a maggioranza tra i Paesi Ue per riformare i meccanismi di accoglienza dei migranti. Che è stata al centro del confronto con il presidente tunisino Kais Saied.
La Meloni aveva già posto le basi per un riavvicinamento tra Ue e Tunisia in vista di un’intesa economica. Il momento è propizio, perché il Paese africano è pressato dal Fondo monetario internazionale, disposto a concedere linee di credito solo se accompagnate da riforme nel sistema produttivo e nel mercato del lavoro che Saied considera vessatorie. L’Europa anticipa dunque i finanziamenti del Fmi: da subito arriveranno 150 milioni di euro per il bilancio tunisino. Una seconda tranche da 900 milioni dovrebbe essere versata dopo l’accordo tra Tunisi e il Fmi. Su questo la trattativa è ancora aperta; ma che sia stato raggiunto un compromesso sulla prima parte di aiuti lascia intendere che la strada della mediazione non è stata interrotta.
Se su questo fronte dei rapporti tra Italia e Ue splende il sereno, lo stesso non si può dire a proposito della trattativa sull’adesione di Roma al Meccanismo europeo di stabilità. Qui l’Italia preme sul freno, non sull’acceleratore, soprattutto dopo la consonanza di vedute tra Lega e Fratelli d’Italia sancita dalle dichiarazioni della Meloni nella masseria di Bruno Vespa: “Non ha molto senso ratificare il Mes quando non sai cosa prevedono le nuove norme sul Patto di stabilità e crescita. Io non sono molto convinta delle proposte della Commissione, è un tema stupido da aprire adesso”.
Sull’adesione dell’Italia le pressioni europee sono fortissime. Se n’è fatto portavoce il commissario all’Economia (ed ex premier Pd) Paolo Gentiloni, per il quale “la mancata ratifica del Mes non rafforzerà l’Italia”. Gli ha fatto eco il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, che da ministro dell’Economia del Governo Pd-M5s aveva detto sì a Bruxelles (contro il mandato del Parlamento). Ora il Governo Meloni blocca la ratifica. Lo schema applicato da Bruxelles è sintetizzato così da Romano Prodi: l’Italia ricatta l’Ue. Ma è semmai vero l’opposto: è l’Europa a fare pressioni, mediatiche e politiche, su chi non piega la testa davanti ai suoi diktat. Clamoroso il caso di Lagarde nel dicembre scorso, quando la presidente della Bce evocò perfino manovre speculative contro l’Italia se non avesse ratificato il Fondo “salva-Stati” (altro nome del Mes).
Il motivo della resistenza italiana contro la ratifica riguarda le condizionalità che verrebbero imposte in cambio dell’assistenza finanziaria del Mes. Nella sua versione riformata, il Meccanismo europeo di stabilità dovrebbe “seguire e valutare la situazione macroeconomica e finanziaria dei suoi membri, compresa la sostenibilità del debito pubblico, e analizzare le informazioni e i dati pertinenti”. In questo modo, il Mes assumerebbe le funzioni di un’agenzia di rating: ad esso toccherebbe valutare la sostenibilità del debito, diventando – di fatto – l’arbitro del proprio intervento. Per l’Italia sono limitazioni difficilmente accettabili.
Il negoziato si complica se al Mes si aggiunge – è l’Europa ad imporre questa “logica di pacchetto” – il braccio di ferro sull’erogazione delle rate del Pnrr e la discussione, che sta per riaprirsi, sulle modifiche del Patto di stabilità, ora congelata.
Il successo del collocamento del nuovo Btp Valore ha mostrato che l’Italia è in grado di trovare fondi per finanziare il proprio debito diverse da quelle europee, che si chiamino Pnrr o Mes. Il ministro Salvini lo ha subito sottolineato: il Governo dimostra di sapere trovare sul mercato i soldi di cui ha bisogno. Resta da capire se tale compattezza politica darà alla premier la forza di non cedere nella trattativa con Bruxelles. O se invece, anche lusingata dalle possibilità di accordi politici in vista delle elezioni europee del 2024, la premier non si farà convincere ad accettare soluzioni di compromesso.
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