La Casa Bianca ha dichiarato ieri di ritenere “politicamente ostile” la possibilità che Amazon indichi l’impatto delle tariffe sui prezzi di vendita. Il rumour, circolato nelle prime ore della mattinata, è stato prima commentato nella conferenza stampa alla Casa Bianca ed è poi stato smentito con una precisazione: Amazon aveva considerato l’ipotesi solo per la sezione “discount”. Secondo fonti di stampa cinesi, Walmart avrebbe ricominciato a ordinare prodotti made in China accettando di pagare i dazi. Sono i primi segnali di aggiustamento del sistema e di una possibile ripartenza degli scambi.
Il segretario del Tesoro Bessent è stato l’ospite d’onore della conferenza stampa giornaliera alla Casa Bianca e ha potuto consegnare al pubblico alcuni messaggi. Il primo è che non ci saranno scaffali vuoti perché il sistema americano si è preparato per tempo e perché sono in via di conclusione i negoziati con alcuni Paesi asiatici. Il secondo è che l’incertezza “non è necessariamente una cosa cattiva in una fase negoziale”. Il terzo è che prima di aprire le trattative commerciali con l’Europa occorre che gli europei si mettano d’accordo tra di loro.
Un numero crescente di società, in occasione della pubblicazione dei risultati trimestrali, intanto mette in guardia gli investitori; gli obiettivi precedentemente comunicati sul 2025 non sono più attuali e, in ogni caso, ci saranno impatti sui margini anche se ancora non quantificabili. Sul breve periodo si intrecciano piani diversi: la disponibilità di prodotti sugli scaffali, il possibile rallentamento economico, gli impatti sui prezzi e le negoziazioni con i partner commerciali. Il flusso di notizie giornaliero rischia di mettere in secondo piano alcuni elementi che con il passare delle settimane si impongono.
Il disaccoppiamento dalla Cina comporta rialzi dei prezzi anche nell’ipotesi che le produzioni si spostino in altri Paesi a basso costo. In nessun altro possono essere replicate le condizioni uniche della Cina che è, tra le altre cose, il Paese più infrastrutturato del mondo. La ripartenza delle merci dalla Cina verso le catene di distribuzione americane avviene solo a prezzi più alti.
Gli Stati Uniti non vogliono rimpatriare qualunque produzione; devono rientrare quelle a valore aggiunto o quelle indispensabili per le catene di forniture critiche, medicinali piuttosto che dei microchip. Questa esigenza si impone anche per le altre economie.
Passare da una catena di fornitura unica a molte significa avere efficienze strutturalmente inferiori e avere grande disponibilità di capitali e risparmi per poter rimpatriare le produzioni. Questo spiega perché il risparmio è destinato a diventare una risorsa critica e perché diventa così importante poter garantire bassi costi energetici e deregolamentazione.
Tutto il processo è inflattivo a prescindere, ma se si aggiungono costi energetici molto più alti e molte più regole lo shock si moltiplica. Oggi siamo poi in uno scenario di piena occupazione e di invecchiamento della popolazione; rimpatriare produzioni significa, nel lungo termine, salari più alti. I margini delle imprese, che per tre decenni hanno beneficiato di costi del lavoro e interessi bassi, sono quindi a rischio. Parte dell’incremento dei costi verrà assorbito dai margini.
Nella strategia americana l’obiettivo è avere il controllo delle catene di fornitura critiche e ribilanciare l’economia a favore dei lavoratori. La criticità è gestire una transizione che si vedrà sui prezzi di molti beni e sui mercati finanziari, con tassi strutturalmente più alti e con la compressione dei margini delle imprese. La transizione, poi, non si misura in settimane ma in anni.
Il nuovo paradigma riguarda tutti; anche in Europa si porrà l’esigenza di minimizzare il costo di questa transizione e di trovare il modo di finanziarla. Questo significa mettere in discussioni la rigidità europea sulla transizione energetica e sulle regole imposte alle imprese. L’attenzione al risparmio può solo aumentare perché si devono recuperare decenni di investimenti mancati.
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