Arrivano indicazioni interessanti, anche sul nostro Paese, dal nuovo Rapporto sul mondo postglobale del Centro Einaudi
È certamente un’operazione temeraria cercare di dipingere un affresco che, come in un nuovo Giudizio Universale, offra un’immagine sintetica e completa di questo nostro mondo caratterizzato dalla complessità. È inevitabilmente forte la tentazione di privilegiare i particolari, di considerare un solo punto di vista, di lasciarsi condizionare dalle ideologie e dai pregiudizi.
Anche perché i vecchi schemi di giudizio non sembrano reggere di fronte al disordine, all’irrazionalità, all’imprevedibilità che hanno contraddistinto i primi mesi della presidenza di Donald Trump e che probabilmente continueranno a essere i caratteri di quest’avventura.
Ma anche quest’anno il Centro Einaudi di Torino ha raccolto la sfida e con il titolo “Un futuro da riprogettare” e con la cura di Mario Deaglio (Ed. Guerini e associati, pagg. 232, €22) ha realizzato, con il supporto di IntesaSanPaolo, un nuovo Rapporto sul mondo postglobale, erede del venticinquennale Rapporto sull’economia globale e l’Italia.
In diciannove capitoli si passano così in rassegna i temi di più stretta attualità partendo, inevitabilmente, dagli Stati Uniti passando poi attraverso i temi dell’energia, dell’alimentazione, dell’intelligenza artificiale, del mercato del lavoro, delle guerre in Ucraina, Medio Oriente e Africa, dell’Europa e infine dell’Italia tra molte ombre e qualche luce sul fronte dell’economia e della finanza.
Come scrive il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro nell’introduzione del libro, «Il capitalismo contemporaneo vive una fase di profonda trasformazione, in bilico tra “fondamentalismo di mercato” e “liberalismo inclusivo”. La concentrazione oligopolistica in molti settori è eccessiva, si unisce alla crescita delle disuguaglianze e all’insostenibilità di alcuni modelli di welfare. Presto o tardi questi problemi sfoceranno in interrogativi fondamentali sul futuro delle nostre economie».
Fedele al motto einaudiano “conoscere per deliberare” il rapporto approfondisce con una visione spesso originale le grandi tendenze senza rinunciare a mettere in luce le grandi problematiche del sistema finanziario. Significativo l’intervento di Giorgio Arfaras, che sottolinea come la finanza si sia “staccata” dal ruolo di finanziatore degli investimenti: «La finanza gioca “in proprio”, salvo avere – ma sono flussi di investimenti modesti rispetto allo stock di ricchezza – un ruolo nel finanziamento delle nuove imprese tecnologiche che vogliono affermarsi».
Il rischio finanziario peraltro resta sempre in primo piano, come dimostrano le turbolenze dei mercati di fronte alle mosse del Presidente americano. Così come in primo piano sono le difficoltà dell’economia globale, con i dazi che hanno buttato altra sabbia negli ingranaggi della crescita e con le tendenze demografiche che già ora riducono le potenzialità sul fronte del risparmio e dei consumi.
In questo scenario l’Italia non è, come spesso viene descritta e percepita, una palla al piede, ma, come sottolinea nel suo saggio Beppe Russo, può risentire meno di altri Paesi delle nuove condizioni imposte dai dazi americani. «A differenza di molti osservatori – scrive Russo – riteniamo che, siccome esportiamo prodotti trasformati e non materie prime, grazie a industrie specializzate e con una difendibile identità di marca e di origine, i danni potrebbero essere contenuti. Il made in Italy è poco sostituibile, sarà più caro per molti americani; essendo però in gran parte costituito da beni acquistati da statunitensi ad alto reddito, la contrazione delle vendite potrebbe essere limitata».
Nel suo complesso è vero che l’Italia continua a muoversi a passo di tartaruga, ma, osserva Russo, «marcia comunque in una direzione sostenibile».
Infine, un’osservazione riguardo ai temi demografici, giustamente inseriti tra le priorità da affrontare, soprattutto per un’Italia che ha il basso tasso di natalità di tutta Europa. Ma non si parla solo dei, pur necessari sussidi e di asili nido, ma anche di coraggiose riforme istituzionali. Lo spiega Federico Boffa: «Per conferire una percezione di persistenza alle politiche orientate ai giovani e al futuro, una proposta consiste nell’inserimento in Costituzione di una norma che assegna ai genitori di figli minorenni il diritto di votare anche per loro conto.
Si tratterebbe del cosiddetto proxy voting, originariamente proposto da Antonio Rosmini nella sua bozza di Costituzione del 1848 e rilanciato più di recente dal demografo ungherese Paul Demeny. Tale regola, aumentando il peso politico dei genitori di figli minorenni e, indirettamente, dei bambini stessi, potrebbe rendere credibile la persistenza delle politiche a favore delle nuove generazioni, rimuovendo così alcuni degli ostacoli economici alla natalità».
Una proposta, ahimè, troppo interessante per essere presa in considerazione da una politica, come dimostra la recente vicenda dei referendum, più orientata al passato che a guardare al futuro.
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