Mentre i mercati finanziari continuano a subire perdite, l’Ue cerca una strategia comune per rispondere ai dazi del 20% imposti dagli Stati Uniti. Non sarà semplice trovare una posizione comune dal momento che ci sono Paesi membri più propensi al dialogo con Washington e altri che vorrebbero da subito una risposta dura e compatta con l’imposizione di tariffe verso i prodotti made in Usa. Abbiamo chiesto un commento a Mario Deaglio, professore emerito di economia internazionale all’Università di Torino.
C’era attesa per l’annuncio del 2 aprile e, guardando alle sue conseguenze, sembra di essere di fronte a qualcosa di catastrofico. Cosa pensa dell’impatto che avranno i dazi imposti dagli Stati Uniti?
È difficile rispondere, anche perché da circa 30 anni abbiamo smesso di utilizzare le tavole delle interdipendenze settoriali, uno strumento statistico utile per capire quello che un settore compra da e vende a tutti gli altri settori. In sua assenza è difficile avere una chiara contezza degli effetti che i dazi avranno. Anche perché non sappiamo nemmeno quali siano le reali propensioni dei consumatori.
Ci può spiegare meglio con un esempio?
Prendiamo l’agroalimentare, un settore italiano che sembra essere particolarmente esposto alle conseguenze dei dazi. In effetti, questi potrebbero arrestare la crescita dell’export di alcuni prodotti, ma per avere qualche certezza in più bisognerebbe capire anche quali sono gli effetti reali di un aumento del prezzo del 20% nelle preferenze dei consumatori rispetto a prodotti sostitutivi: in alcuni casi potrebbero non essere così forti come si potrebbe immaginare, mentre in altri l’impatto potrebbe essere tangibile.
Se dovesse tirare le somme, quanto saranno negativi i dazi per l’Europa e l’Italia?
L’effetto generale è sicuramente negativo, ma sulla sua ampiezza non mi pronuncio perché non ci sono ancora sufficienti elementi per poterlo fare. È come trovarsi di fronte a un malato con una forte tosse: potrebbe essere sintomo di una normale influenza come di una polmonite seria. Un bravo medico dovrebbe prendere in considerazione la diagnosi peggiore, anche se non ha ancora sufficienti elementi per poterla confermare. Se oggi qualcuno ha le idee chiare su come andranno le cose rischia di sbagliare.
Cosa pensa, invece, della reazione dei mercati?
Penso che in parte sia dovuta anche al fatto che ci si era abituati a continui rialzi, come se ogni investimento avrebbe comunque portato frutto. Si è venuta creando una sorta di sovrastruttura che si è autoalimentata della convinzione che i listini sarebbero sempre saliti. Oggi è come se l’incertezza, come un duro pizzicotto, stia facendo emergere la realtà di quotazioni slegate dai “fondamentali”. Non dobbiamo poi dimenticare che su questo quadro possono incidere anche gli scenari di guerra, che non sembrano purtroppo diminuire.
A suo avviso, come dovrebbe rispondere l’Ue ai dazi degli Stati Uniti?
È difficile dirlo, perché gli Usa non esportano molti beni nell’Ue, con qualche eccezione nei settori della difesa e dell’elettronica. Il discorso, tuttavia, cambia nel caso dei servizi, specialmente nell’ambito digitale. Si tratterebbe, quindi, di unificare le imposte a livello europeo per questo tipo di servizi, facendo in modo che vengano tassati nel luogo in cui vengono consumati. Penso che su questo si possa trovare un accordo nell’Ue.
E questa imposta sui servizi potrebbe essere una risposta ai dazi da mettere sul tavolo dei negoziati con gli Usa?
Sì, insieme, per esempio, alla volontà di privilegiare produzioni europee nell’utilizzo degli investimenti nella difesa dei Paesi Ue destinati ad aumentare nei prossimi anni. Tuttavia, oggi appare difficile capire con chi si possa negoziare: l’Amministrazione americana parla con diverse facce, che hanno un differente grado di ferocia, il che non aiuta a far chiarezza.
L’Ue potrebbe anche guardare alla Cina per il suo export, ma c’è anche chi teme che Pechino potrebbe dirottare i suoi flussi di prodotti dagli Usa all’Europa creandole problemi. Cosa ne pensa?
Potrebbe in effetti esserci questa possibilità. Tuttavia, per quanto riguarda la Cina allargherei la visuale ricordando il progetto dei Brics di creare una valuta per gli scambi internazionali alternativa al dollaro. La situazione attuale potrebbe rappresentare una spinta ulteriore a questo progetto. Al tempo stesso, avendo riserve in dollari, Pechino non ha un interesse al crollo immediato del biglietto verde, le basta che ci sia un’attenuazione graduale della sua importanza.
Se l’Europa dovesse “agganciarsi” a questo progetto, gli Stati Uniti non ne sarebbero molto contenti…
Certamente, ma anche noi europei, visto il rapporto quasi secolare con gli Usa, non è che potremmo tranquillamente abbracciare un progetto alternativo al dollaro. Anche in questo caso, comunque, bisognerà aspettare e vedere, nel caso, fino a che punto questa valuta dei Brics potrebbe incidere sulle transazioni internazionali.
Resta il fatto che gli Usa, se non vogliono spingere l’Ue nelle braccia della Cina, dovrebbero essere meno duri nei suoi confronti.
Sì, la necessità di mantenere lo status del dollaro rappresenta il limite oltre il quale gli Stati Uniti non possono spingersi nel mettere in campo le politiche che forse desidererebbero attuare.
In questa situazione pensa che la Bce, il cui Consiglio direttivo si riunisce la prossima settimana, dovrebbe lasciare invariati i tassi?
Direi di sì. Magari stabilendo di riunirsi a breve nel caso di importanti novità. In questo senso non va trascurata, per esempio, l’esistenza all’interno del Partito repubblicano di crescenti perplessità circa questa manovra sui dazi, quindi non è detto che poi l’Amministrazione non la debba in parte rivedere.
(Lorenzo Torrisi)
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