Occorre prendere con l’attenzione che merita la scelta del giudice di primo grado di applicare la pena accessoria dell’ineleggibilità immediata comminata all’ex presidente del Rassemblement National, Marine Le Pen. Condannata in primo grado per gli stipendi agli assistenti degli eurodeputati, all’erede del fondatore del Front National è impedito di potersi candidare alle prossime elezioni presidenziali del 2027. Solo un’accelerazione della sentenza di secondo grado prima di questa data, con un’eventuale revisione della condanna, potrebbe consentirle la candidatura.
Si tratta di una sentenza che, politica o meno che la si giudichi, ha pesanti conseguenze sulla Quinta Repubblica.
Dal 2002 il Rassemblement National, il partito guidato attualmente da Jordan Bardella e del quale Marine Le Pen è stata presidente dal 2011 fino al 2021, fornisce ai diversi governi che si sono alternati alla guida del Paese un argomento decisivo per alleanze emergenziali, dettate dal principio di necessità. Schierarsi contro tutto ciò che possa lontanamente riproporre un qualsiasi cedimento alla destra è percepito da una parte rilevante della popolazione come un dovere civico, prima ancora che politico.
Fare quadrato intorno al candidato opposto al Rassemblement National, chiunque egli sia, è presentato come un dovere necessario, in quanto consente, al secondo turno, di sbarrare la strada dell’Eliseo al RN, opponendogli non un partito ma l’intera coalizione di tutti gli altri.
La probabilità che il magistrato abbia raccolto una simile sfida, usando così l’arma della pena accessoria dell’ineleggibilità – di fatto non necessaria – è altamente probabile. La scelta di aggiungere alla condanna di primo grado l’immediata esecutività della non candidabilità, è infatti una scelta che dovrebbe essere soppesata con estrema attenzione: proprio perché “accessoria”, non è affatto indispensabile, non è parte necessaria della condanna, ma è solo una preoccupazione per il rischio di recidività, come può essere quello che si concretizza nel caso degli incidenti stradali o nelle aggressioni sessuali. Un rischio che, nel caso degli stipendi agli assistenti degli eurodeputati dello stesso partito, è assolutamente improbabile.
La scelta di bloccare il Rassemblement National “alla fonte”, vietando che la sua rappresentante possa scendere in campo alle prossime elezioni presidenziali è comunque, anche nel caso di motivazioni lontane da qualsiasi presa di posizione di parte, una scelta politicamente deleteria per l’intero sistema democratico.
Lasciare che una parte dell’elettorato, spesso maggioranza relativa al primo turno, venga privata del proprio candidato principale – attualmente ad oltre il 35% delle intenzioni di voto – non significa solo aumentare la frustrazione e il rancore di questa componente della cittadinanza, ma anche aprire la porta ad altri due possibili esiti, l’uno peggiore dell’altro.
Il primo, paradossalmente, sarebbe quello di aumentare la percentuale dei voti al RN: il partito finirebbe con il raccogliere il consenso di tutti i delusi antisistema, che vi vedrebbero l’occasione per un voto di protesta. Una scelta che, se favorirebbe questo partito, ne appesantirebbe la carica anti-sistema che è, probabilmente, la parte più problematica.
Il secondo, ancora peggiore, sarebbe quello di invalidare la democrazia aumentando la percentuale, già consistente, di quanti non vanno più a votare. Si estenderebbe così l’area dell’indifferenza: la più irrespirabile che ci sia per una democrazia.
La democrazia non è un’opportunità concessa al popolo, ma la condizione indispensabile affinché questo, potendo formulare il proprio parere, si senta parte integrante di quella collettività, politica e morale al tempo stesso, che è costituita dall’intera nazione. Se il primo dovere/diritto dei cittadini in ogni democrazia è quello di recarsi alle urne per esprimere il proprio parere, qualunque preclusione a priori, qualsiasi esclusione, non solo è un atto moralmente antidemocratico, ma anche politicamente pericoloso per la democrazia stessa in quanto aumenta la percentuale “dei delusi e degli esclusi”.
Prima del “potere in mano alle destre”, ciò che deve preoccupare chiunque è tanto la possibilità che queste si vedano invase dai voti della pura protesta antisistema, quanto la rinuncia di una quota crescente della popolazione alla partecipazione politica attraverso il ricorso all’astensione. Il non sentirsi rappresentata né presa in considerazione da parte di quest’ultima, tanto da scegliere di non recarsi alle urne, è il reale veleno per ogni democrazia, quello che ne annuncia la sua decadenza.
Escludere dal voto chiunque rappresenti una parte del popolo è una decisione pericolosa e grave che, prima di essere formulata, dovrebbe essere lungamente soppesata. Almeno se si tiene alle istituzioni democratiche, alla loro tenuta ed alla loro durata.
La democrazia, va ricordato, è un bene fragile. E può essere abbandonata con grande facilità, come un libro non letto, un’eredità non raccolta. Sentirsi non ascoltati, se non addirittura dichiarati “inascoltabili”, rende l’astenersi dal voto una tentazione facile da cogliere. La regressione verso il buio dei governi di élites minoritarie, tanto illuminate quanto deboli sul piano della rappresentanza, diviene così un rischio reale.
Non penso che ci si possa rassegnare ad una simile fragilità quando, proprio nella situazione attuale, è esattamente il contrario ad essere necessario.
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