Prosegue la serie negativa per la produzione industriale italiana. L’Istat ha fatto sapere ieri che a dicembre è scesa del 3,1% in termini congiunturali e del 7,1% in termini tendenziali. Il 2024 si è chiuso, quindi, con una diminuzione del 3,5% e con una dinamica tendenziale negativa in tutti i mesi dell’anno. Tra i principali raggruppamenti di industrie solamente quello dell’energia ha registrato nell’anno un incremento, mentre le flessioni più marcate si sono avute per industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori e fabbricazione di mezzi di trasporto. Abbiamo chiesto un commento a Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.
Cosa pensa di questi dati?
Quel che più mi preoccupa di questi dati negativi è che potrebbero peggiorare qualora venissero introdotti da Trump gli annunciati dazi sulle merci europee, al di là di quelli del 25% su acciaio e alluminio che entreranno in vigore tra un mese. Speriamo non creino troppi danni.
Effettivamente i dazi potrebbero determinare un calo delle esportazioni europee e, quindi, un’ulteriore diminuzione della produzione industriale…
Non solo. Si prevede, infatti, che i dazi comporteranno un rialzo dei prezzi negli Stati Uniti. Il che avrà conseguenze sulla politica monetaria della Federal Reserve e, di riflesso, della Banca centrale europea. Potrebbero, quindi, venir meno i benefici per l’economia del calo dei tassi di interesse. Tra l’altro variazioni dei tassi avrebbero ripercussioni anche sul mercato dei cambi valutari. Il risultato sarebbe un aggiustamento degli scambi internazionali che va al di là della minore esportazione europea di beni colpiti dai dazi.
Cos’ha pesato di più, a suo avviso, sulla performance negativa della produzione industriale del 2024?
La mia sensazione è che oltre alla perdurante crisi della Germania, dovuta anche all’andamento delle sue esportazioni, ci sia stato un problema legato alla domanda interna, in particolare per quel che riguarda la capacità di spesa delle famiglie.
Come si potrebbe cercare di invertire rotta?
Come ho detto nella precedente intervista, si potrebbe cercare di ampliare la possibilità di accordi commerciali con Paesi asiatici come Cina e India. Ma oltre a guardare al di fuori dell’Ue bisognerebbe fare in modo che i quattro principali Paesi europei (Germania, Francia, Italia e Spagna) dessero vita almeno a una politica industriale coordinata non rivolta solamente all’export, ma principalmente al mercato interno.
Servirebbero anche delle politiche per stimolare la domanda interna, visto che non appare molto brillante…
Certamente. Oggi l’Ue esporta beni e servizi per il 51% del proprio Pil ed è quindi un’area economica molto orientata all’export. Tuttavia, al suo interno ci sono Paesi che hanno risentito di un’inadeguata domanda interna, tra cui l’Italia. È la struttura produttiva industriale italiana ha fatto quello che ha potuto in condizioni non ottimali.
Oggi, però, questo orientamento all’export potrebbe mettere in difficoltà l’Ue. Non dovrebbe cambiare le proprie regole fiscali, così anche da poter incentivare la domanda interna sul lato degli investimenti pubblici?
Sì, questa è una possibilità. Credo, però, come dicevo prima, che ci sia un problema legato alla capacità di spesa delle famiglie che dovrebbero poter vedere aumentare i loro redditi. Purtroppo la domanda interna in Europa, soprattutto in Italia, è stata molto trascurata e nel nostro Paese rimane inadeguata rispetto alle potenzialità dell’industria. Dunque, vanno privilegiati gli investimenti che portano a un aumento della produttività in grado di alimentare una politica dei redditi, in modo che i salari vengano remunerati almeno nella stessa misura del capitale.
(Lorenzo Torrisi)
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