Archiviata (in parte) la crisi inflattiva dovuta al Covid, rimangono ancora in essere gli aumenti del costo dell’energia dovuti allo scoppio della guerra in Ucraina: i costi per le imprese (comprese le piccole e medie imprese) per la produzione rimangono un grande ostacolo, che le pone in svantaggio rispetto ad altri player esteri del mercato. Il calo della produzione industriale, che continua imperterrito da più di venti mese, è causato anche dalle difficoltà causate dai costi energetici elevati.
Con il nuovo anno il prezzo dell’energia elettrica, a sua volta formato sul prezzo del gas, ha avuto un forte aumento, aggravando una situazione già complessa e difficoltosa tutto il settore industriale: se nel 2024 la media era di 108 euro a MWh, all’inizio del 2025 il valore ha già raggiunto e oltrepassato i 150 euro a MWhm con un aumento che supera il 50% della media dell’anno scorso.
Tali prezzi, secondo una stima di Confindustria presentata dal delegato per l’Energia Aurelio Regina alla Camera, impatteranno pesantemente sulla spesa delle famiglie, riducendo il loro già esile potere d’acquisto, e sull’industria stessa, finendo per aggravare una crisi già in atto. Un’idea ancora più chiara emerge confrontando la situazione negli altri Paesi: i prezzi dell’energia elettrica all’ingrosso sono sui 108,5 euro Mwh in Italia, il 38% in più rispetto alla Germania, il 72% in più della Spagna e l’87% in più rispetto alla Francia (cfr. Il Sole 24 Ore). Tale dato approfondisce dunque un elemento citato inizialmente: non solo i costi sono alti, ma lo sono di più rispetto alle imprese estere.
L’incertezza dei prezzi risente di variabili di tipo internazionale: su tutte la guerra in Ucraina e lo stop del flusso di gas dalla Russia all’Europa, derivante anche dal mancato rinnovo da parte del Governo ucraino dell’accordo per il transito con Gazprom a inizio gennaio. Da ultimo anche le politiche del Governo americano, compresi gli eventuali dazi che il Presidente Trump vuole imporre agli Stati europei (e forse il termine non è a caso, dato che il Presidente ha già dimostrato di voler negoziare con i singoli Stati e non con l’Ue); da questo punto di vista l’ottimo rapporto con la Premier potrebbe giocare a favore delle imprese italiane.
I prezzi dell’energia sono solo una delle cause del calo generale della produzione industriale: un altro elemento altrettanto importante è la crisi del mercato dell’auto. Si tratta di un fattore di criticità nazionale che trova le sue radici, oltre che nel calo delle domanda interna, nella situazione tedesca, economia principale del mercato. Come ha recentemente indicato l’Istat, il calo della produzione industriale è alimentato “dalla debolezza della economia tedesca, principale mercato di sblocco delle nostre esportazioni e dalla crisi di alcuni comparti produttivi (automotive su tutti)” (Le prospettive per l’economia italiana nel 2024-2025). In generale la recessione tedesca ha portato a una riduzione di circa il 5,1% della domanda per i prodotti italiani.
Alla situazione dei prezzi energetici e del mercato automobilistico tedesco si aggiunge inoltre un aspetto politico per nulla secondario: la debolezza politica della Germania ha portato il Paese ad elezioni anticipate, le quali comporteranno ad alcuni sconvolgimenti nella composizione del Parlamento. Il Governo che poi nascerà, davanti a votazioni che sembrano preannunciare già la mancanza di un vero vincitore, è al momento ignoto. Conseguentemente anche il piano industriale tedesco, il quale avrà appunto ripercussioni anche in Italia, è ancora tutto da capire.
Vista dall’Italia la debolezza di nazioni come Francia, con un Presidente politicamente debole, e soprattutto Germania da un lato deve far preoccupare, come appena esposto, ma dall’altro, guardando la situazione in termini di strategia e opportunità politica europea, può essere un’occasione forse irripetibile per la Premier Meloni di consolidare la sua figura di leader a livello internazionale.
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