Le tensioni fra Letta e Salvini, le “vedove di Conte”, grillini in testa, che minacciano di non votare la fiducia su questo o quel provvedimento, la battaglia legale fra Conte e Casaleggio, l’avvicinarsi delle elezioni amministrative che creano bagarre all’interno dei due schieramenti e sullo sfondo l’ennesima crisi della magistratura. Quanto pesano queste fibrillazioni sulla navigazione del governo Draghi, impegnato di suo a gestire due passaggi difficili come la campagna vaccinale e la gestione del Pnrr per rilanciare l’economia e modernizzare il paese?
“Questi fenomeni di logoramento ci sono – osserva Stefano Folli, editorialisti di Repubblica –, ma fanno parte di una dialettica minore, inevitabile, senza però poter arrecare minacce al governo Draghi. Fino al passaggio autunnale delle elezioni comunali non prevedo colpi di scena definitivi, tutt’al più fitte scaramucce”.
Ma esistono davvero, come dicono da Italia Viva, le “vedove di Conte”, M5s in testa, che ogni giorno minacciano di non votare la fiducia o ricattano Draghi su questo o su quel provvedimento? Qual è l’obiettivo di questo tirare la corda?
In questo momento penso che non ci sia spazio per queste manovre.
Perché?
Il solo fatto che esista una maggioranza così composita provoca un residuo di discussione politica, di dibattito, di conflitto che però sono dentro i confini della maggioranza che al momento non ha alternative. Le polemiche politiche diventano interessanti quando si lavora per un’alternativa. Né le “vedove di Conte” da una parte, né Salvini dall’altra hanno in mente una maggioranza alternativa.
Quindi Draghi può puntare ad arrivare fino alla scadenza naturale, fino al 2023?
Andiamoci piano. Oggi la garanzia è che non ci sono alternative. Poi, ogni giorno ha la sua pena. Fra tre mesi entreremo nel semestre bianco, che sembra fatto apposta per accentuare le tensioni politiche, e a mano a mano che ci si avvicina alle elezioni comunali d’autunno le frizioni tenderanno ad aumentare. Vedremo come andranno e dopo saremo a un passo dall’elezione del Capo dello Stato.
Non mancheranno motivi di tensione, anche forti, non crede?
Certo. Il mio auspicio è che il governo Draghi abbia un orizzonte fino al 2023, perché credo che il programma che si è dato il presidente del Consiglio e su cui le forze di maggioranza lo sostengono, è ambizioso e richiede tempi congrui per la sua realizzazione, ma la domanda se terrà fino a quella scadenza sarà meglio porsela alla fine di quest’anno. Fino al passaggio autunnale non prevedo colpi di scena definitivi, tutt’al più fitte scaramucce.
Letta si è più volte lamentato, anche di persona con Draghi, che “il metodo Salvini non funziona”. Ma non ha l’impressione che oggi il Pd incida poco nell’azione di governo?
Oggi nessuna forza politica della maggioranza composita può dire di veder attuato il suo programma o imposti i suoi punti di vista. Non ci riesce la sinistra e non ci riesce la destra: ciascuno deve rinunciare a una parte delle proprie iniziative, perché sta sotto questo ampio mantello. È vero, poi, che il Pd non è così vitale nel riuscire a dare l’impronta al percorso del governo Draghi, che al momento – checché se ne dica – è imposto dallo stesso Draghi. Ogni partito deve pensare a portare l’acqua, ma tutti devono accettare questa idea.
Anche la Lega? Sulle aperture alla fine non ha vinto la linea Salvini, temperata da Draghi?
Penso sia un’operazione mediatica, che tra l’altro non incide più di tanto sull’opinione pubblica, perché sappiamo che il bandolo della matassa lo ha tenuto in mano Draghi.
Letta cerca un’alleanza tra Pd e M5s, ma uno degli ostacoli è rappresentato dalla ricandidatura della Raggi a sindaco di Roma. Intanto si parla di possibile discesa in campo di Zingaretti.
A Roma il problema della Raggi è molto serio.
Dove sta il nodo da sciogliere?
Dovesse andare al ballottaggio, il Pd dovrebbe votarla, ma rieleggere la Raggi per Letta sarebbe una sconfitta. D’altra parte, se non entra in campo Zingaretti, che mi sembra l’unico nel centrosinistra in grado di batterla al primo turno, la Raggi è in gioco per passare al secondo turno.
Si vocifera però di una possibile discesa in campo di Zingaretti…
Se fosse in campo Zingaretti, che ha una forza nel Pd romano piuttosto consistente, probabilmente sarà lui a prevalere. Non possono obbligare la Raggi a ritirarsi, possono però metterle di fronte un candidato in grado di impedirle di arrivare al ballottaggio.
Questo potrebbe facilitare l’alleanza tra Pd e M5s?
Nelle elezioni comunali al primo turno ci si conta, al secondo ci si aggrega. Aggregarsi attorno alla Raggi per il Pd sarebbe molto faticoso; portare i Cinquestelle a sostenere il candidato del Pd, soprattutto se fosse Zingaretti, sarebbe tutt’altra cosa.
Dopo il passo indietro di Albertini a Milano, anche nel centrodestra è bagarre sulle candidature per le amministrative?
A oggi il centrodestra non ha un candidato a Milano né a Roma, ed è abbastanza singolare che lo schieramento, al netto del fatto che Salvini e Forza Italia sono al governo mentre la Meloni è all’opposizione, nel suo complesso ampiamente maggioritario nel paese non riesca a trovare un punto d’intesa per avere un candidato sindaco nelle due maggiori città italiane. Questo mostra l’impreparazione del centrodestra di fronte ai passaggi politici importanti.
E dopo le comunali, ci sarà l’elezione del Capo dello Stato…
Un altro passaggio fondamentale per decidere il prossimo futuro. Non vedo come il centrodestra possa lasciare al centrosinistra, unito ai Cinquestelle, la regia e l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Ma per entrare in gioco in questa partita bisogna avere le idee chiare e una tattica politica conseguente.
Nel M5s è partita la battaglia legale tra Conte e Casaleggio. Rischia di frenare le ambizioni dell’ex presidente del Consiglio?
La mia impressione è che a Conte, se vuole capitalizzare la sua popolarità, che c’è ancora, forse conviene presentare una sua lista, lasciando il M5s al suo destino. Se l’idea è fondere insieme la sua popolarità personale con la struttura dei Cinquestelle, che è stata concepita in un’altra fase politica e per un mondo che ha cambiato pelle, mi sembra che questa fusione fredda non stia riuscendo.
Il “caso Amara” ha riportato alla ribalta il nodo giustizia. Questa nuova crisi della magistratura che effetti politici potrà avere?
Che possa portare a scossoni politici, in base alle carte che oggi si conoscono, non mi pare. Mi sembra però la prova che scorre tanto veleno nel circuito politica-magistratura e anche all’interno della magistratura. E questo è un danno gravissimo per le istituzioni.
Lei è favorevole a una commissione parlamentare d’inchiesta sul ruolo della magistratura e del Csm?
Sono favorevole al fatto che bisogna prendere un’iniziativa. Un giurista autorevole come Sabino Cassese propone uno scossone, con il Csm che si dimette ed esce di scena. Ma se questo non avviene e non ci fossero altri modi, forse una commissione parlamentare d’inchiesta, anche se di solito si dice che siano una perdita di tempo, è l’unica carta da giocare se si vuole mandare un messaggio all’opinione pubblica.
(Marco Biscella)
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