Il Libano ha istituzioni deboli, il Partito di Dio torna ad armarsi e Israele è sempre più minaccioso: la gente teme che riesploda il conflitto con l’IDF
Lo Stato è debole, Hezbollah non disarma e Israele è sempre più convinto di rimanere nel sud. Per questo motivo, a quasi nove mesi dal cessate il fuoco, il Libano rischia di ripiombare nella guerra, soprattutto ora che l’accordo per Gaza ha portato Israele ad allentare la tensione militare sulla Striscia. Per alcuni la situazione non è ancora precipitata solo perché a fine mese deve arrivare il Papa.
Le speranze di un rilancio del Paese, osserva Bernard Selwan Khoury, direttore italo-libanese del Centro studi sul mondo arabo Cosmo, si sono ridotte rispetto all’entusiasmo iniziale, tanto che ora si fa strada l’idea di un protettorato, di qualcuno che prenda per mano uno Stato che da solo non sa uscire dalle secche in cui si è cacciato. Ma la Francia ora non ha più il peso di una volta e gli USA sono legati a doppio filo con Israele.
Israele che continua i suoi raid, Netanyahu che chiede a gran voce il disarmo di Hezbollah, l’inviato di Trump Tom Barrack che sostiene si tratti di uno Stato fallito. Le speranze di rilancio del Libano si sono già ridotte? C’è il rischio che la situazione precipiti di nuovo?
Dall’inizio del cessate il fuoco sono trascorsi 258 giorni, quasi nove mesi, e la realtà dei fatti ha deluso molti libanesi. La situazione è drammatica: dopo l’elezione del Presidente della Repubblica Aoun si era creato un clima di ottimismo e di fiducia da parte di USA e comunità internazionale, nel quale lo Stato sarebbe finalmente tornato a esercitare la sua autorità. Ora però Israele continua a colpire nel sud. Lo fa a fronte di tentativi di Hezbollah di riarmarsi. È come se Tel Aviv dicesse: “Non ci venite a dire che se ci ritiriamo l’esercito libanese può posizionarsi nel sud”. Non vedono ancora uno Stato forte capace di contrastare la presenza di Hezbollah.
Tutto questo a cosa porta?
Quello che si sta verificando è a tutti gli effetti un cortocircuito, ma senza che si possa intervenire per aggiustare l’impianto elettrico: bisogna rifarlo da zero. La storia del Libano, anche quella recente, insegna che le cose purtroppo possono funzionare soltanto con una sorta di protettorato: il Libano è un Paese che dal punto di vista confessionale e politico è ricco, ma questo costituisce anche la sua debolezza. Oggi non c’è un potere statale in grado di esercitare la propria autorità.
Aoun ha promesso che avrebbe disarmato Hezbollah: ci riuscirà?
Ci sono diversi punti interrogativi, anche perché Hezbollah ha comunque contribuito alla sua elezione a Presidente della Repubblica. Ci sono equilibri molto delicati. Certo la fotografia che possiamo fare oggi è quella di una situazione in cui l’autorità dello Stato sembra regredita e l’economia non mostra segni di ripresa.
Netanyahu nelle ultime ore è stato abbastanza duro sulle prospettive delle relazioni con il Libano. Cosa vuole?
I raid condotti da Israele non sono solo di natura militare, ma veicolano un messaggio politico: l’IDF vuole dimostrare che darà la caccia a tutti i membri di Hezbollah. A Nabatiye, nel sud, c’è appena stato un attacco in cui è rimasto ucciso un riferimento operativo di Hezbollah, con le modalità di sempre: un drone colpisce e incendia una vettura o un motociclo. In questa zona del Paese ormai è ordinaria amministrazione. Intanto Hezbollah si sta riarmando per sua stessa ammissione, mentre il Presidente della Repubblica sostiene di non riuscire a dispiegare l’esercito perché ci sono attacchi continui: in questo consiste il cortocircuito.
Israele, comunque, non ha mai dato l’idea di voler abbandonare veramente il Libano del Sud in questi mesi. È così tuttora?
C’è un timore che aleggia nel Paese, che la tregua raggiunta a Gaza spiani la strada a una ripresa dell’offensiva israeliana in Libano. Forse soltanto la visita programmata del Papa per la fine di questo mese ritarderà azioni molto più radicali rispetto a quelle che sono in corso oggi. La paura, anche istituzionale, non è solo di una escalation delle operazioni, ma di una vera e propria ripresa dell’offensiva.
Hezbollah, che tutti davano per indebolito, ha mantenuto la sua forza?
Durante la tregua gli israeliani hanno condotto attacchi chirurgici, ma hanno sospeso le operazioni più massicce, soprattutto nel sud di Beirut, roccaforte di Hezbollah. Grazie a questo il Partito di Dio è riuscito a riorganizzarsi, anche se non può più contare sul regime siriano e sui sostegni anche finanziari che l’Iran riusciva a far arrivare.
Gli americani stanno giocando un ruolo importante come mediatori. Sono troppo sbilanciati su Israele?
Gli americani hanno un obiettivo chiaro, vogliono giocare un ruolo di primo piano nell’area, ma con basso impatto di natura finanziaria e militare. Non ci dobbiamo più aspettare scenari con l’invio di contingenti, come era accaduto in Afghanistan e Iraq. Anzi, vorrebbero un ritorno di natura economica e finanziaria. Se leggiamo le dichiarazioni relative alla ricostruzione della Striscia di Gaza emerge questo. Ma per procedere in questa direzione occorre un Medio Oriente stabilizzato, in cui devono essere normalizzati i rapporti dei Paesi limitrofi con Israele. Ecco perché si sta parlando di una ripresa degli accordi di Abramo.
In Libano nello specifico gli Usa a cosa puntano?
Vogliono portare il Libano ad accettare negoziati diretti o indiretti con Israele per definire una normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi. E stanno facendo di tutto perché i libanesi si trovino senza alternative, se non quella di accettare, appunto, questa normalizzazione.
Vuol dire che Beirut dovrà accettare che Israele si tenga le postazioni che ha adesso in Libano?
Prima dovrà accettare di negoziare e quello della presenza di Israele nel Libano del sud sarà uno dei temi da affrontare. Penso che comunque non ci siano ancora le condizioni per un accordo, anche perché Hezbollah, pur indebolito, non è affatto un attore di secondo piano.
Ma alla fine l’IDF se ne andrà da lì?
Assolutamente no. Manterranno alta la pressione: il messaggio che viene proiettato è quello di una strategia volta a impedire che Hezbollah ritrasformi il Libano del Sud in una piattaforma per il lancio quotidiano di attacchi verso Israele.
Come si spiega la debolezza dello Stato libanese: è colpa degli attori esterni che non lo hanno sostenuto adeguatamente?
Il Libano è tanto piccolo quanto complesso. E l’azione politica spesso si intreccia anche con interessi di natura economica, che fanno capo anche a fazioni apparentemente lontane fra loro. Un fenomeno che, oltre ad aver alimentato la corruzione, è il principale ostacolo allo sviluppo del Paese e non lo mette nelle condizioni di essere rispettato a livello internazionale. Non ispira fiducia ai Paesi terzi, che è la condizione primaria per sbloccare aiuti, ottenere sostegno economico e rafforzare le forze armate.
Se si sceglierà la strada del protettorato chi potrebbe fare da “tutor” al Libano?
Storicamente lo ha sempre fatto la Francia, anche se adesso ha un ruolo meno da protagonista. Gli USA potrebbero giocare questo ruolo, ma con il Libano hanno un rapporto molto diverso rispetto ai francesi. Se lo faranno dovranno imporre una linea molto rigida, comunque molto vicina a quella israeliana.
(Paolo Rossetti)
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