Nella “Nota sulla congiuntura di agosto”, l’Ufficio parlamentare di bilancio spiega che “nonostante la battuta d’arresto registrata nel secondo trimestre (-0,3 per cento), il Pil italiano è previsto in crescita dell’1,0 per cento quest’anno e dell’1,1 per cento nel 2024”. Una previsione che appare in linea con quella contenuta nel XVII Rapporto del Centro Studi EconomiaReale, il cui Presidente Mario Baldassarri, ci ricorda che, al di là dell’andamento trimestrale positivo o negativo, «il dato vero è che la crescita potenziale dell’economia italiana è attorno all’1%. Quando ci sono eventi straordinari in negativo, come il Covid, perdiamo molto terreno e riusciamo poi a rimbalzare. Quando ci sono elementi positivi, come il Pnrr, che però andrà a esaurirsi, torniamo a crescere all’1%». Dunque, aggiunge l’ex viceministro dell’Economia e presidente dell’ISTAO di Ancona, «occorre agire per poter portare la crescita potenziale sopra il 2%, verso il 3%».
Secondo il vostro Centro Studi è possibile farlo attraverso quattro riforme.
Esattamente. Quella più importante è la riforma fiscale.
In Parlamento è stato ultimato l’iter per l’approvazione della legge delega sulla riforma fiscale, con cui si vuole intervenire anche su Irpef e Irap…
È condivisibile la volontà di ridurre a tre le aliquote Irpef, ma l’intervento che si sta delineando è piuttosto modesto. Io propongo un’aliquota del 23% fino a 50.000 euro di reddito, del 33% da 50.000 a 100.000 euro e del 43% sopra i 100.000 euro. Una manovra di questo genere comporterebbe uno sgravio fiscale di circa 40 miliardi di euro contro i meno di 15 della riforma che si vuole varare. Per quanto riguarda le imprese, credo si debba procedere all’abolizione dell’Irap e non a un suo graduale superamento, con uno sgravio di 20 miliardi.
E dove si possono trovare i 60 miliardi necessari a una riforma fiscale come quella che propone?
A mio parere si possono trovare tramite una seria revisione delle tax expenditures e una riduzione dei contributi a fondo perduto a progetti e aziende, che qualche volta finiscono in mano alla criminalità. Secondo il nostro Centro Studi, con la riforma fiscale che le ho delineato la crescita potenziale italiana arriverebbe intorno al 2%.
Si può andare oltre?
Sì. Se aggiungiamo l’effetto sulla produttività totale dei fattori di altre tre riforme strutturali – giustizia, Pubblica amministrazione e concorrenza – si può arrivare al 3% nell’arco di due o tre anni.
Nel frattempo bisognerà sfruttare al meglio il Pnrr. Cosa pensa delle recente rimodulazione che è stata fatta dal Governo?
Penso che c’era un peccato originale già tre anni fa. Quando sono arrivati con sorpresa di tutti, me compreso, i fondi del Next Generation Eu, l’idea poco accorta è stata quella di tirare fuori dai cassetti tutti i progetti che erano stati presentati negli anni e decenni precedenti, ma che non avevano le risorse per partire in modo che venissero finanziati. Tutto questo senza alcun disegno strategico. Faccio un esempio per farmi capire: non è che facendo 8.000 rotonde in 8.000 comuni si ottiene lo stesso effetto di realizzare tre nuovi impianti di produzione di energia elettrica. Quindi, la revisione che ha fatto l’attuale Governo a mio parere è sacrosanta. Ora bisognerà, però, prestare attenzione a due aspetti.
Quali?
Innanzitutto se i circa 16 miliardi destinati al piano energetico REPowerEU hanno un contenuto specifico di progetti da realizzare rapidamente ed eventualmente se quelli più piccoli possono trovare un finanziamento in altra sede.
Cosa si può fare, invece, per contrastare l’inflazione?
Per prima cosa va ricordato che l’inflazione europea è sì da costi, e non da domanda, ma largamente inventati che hanno dato origine a enormi extraprofitti dovuti a un chiaro caso di abuso di potere di mercato, rispetto al quale l’Antitrust sia in Europa che in Italia non ha battuto ciglio. È un’inflazione frutto di una follia collettiva, con dei furbacchioni che hanno esercitato un palese abuso di mercato senza che le autorità intervenissero.
Può spiegarci meglio cosa intende dire?
L’esplosione del prezzo del gas, e di conseguenza dell’energia elettrica, è stata interamente dovuta al fantomatico indice Ttf di Amsterdam, che non è, però, quello che viene pagato dalle imprese energetiche per la materia prima: basta guardare al prezzo del gas all’importazione per rendersene conto. E poi occorre chiedersi se un indice che è passato dai 19 euro MW/h del dicembre 2021 ai 340 euro MW/h dell’estate scorsa per poi scendere ai 30 euro MW/h attuali può realmente essere la base di calcolo per le bollette di famiglie e imprese. È serio tutto questo?
Spiegata la causa dell’inflazione, quale può essere la soluzione?
Si potrebbe cominciare con un intervento immediato per adeguare le bollette a quello che oggi è il prezzo del gas all’importazione. Già questo farebbe abbassare i costi energetici con benefici sull’inflazione.
(Lorenzo Torrisi)
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