In attesa che il board della Bce decida in giugno di iniziare il percorso di discesa dei tassi di interesse, un curioso sorpasso è avvenuto in questi giorni in Italia. Da un lato, l’Istat ha rivisto al ribasso l’inflazione del mese di aprile, riportandola allo 0,8% di crescita rispetto a dodici mesi prima rispetto allo 0,9% della prima stima. Dall’altro, invece, la Commissione europea, nelle sue previsioni macroeconomiche di primavera, ha rivisto al rialzo le stime di crescita dell’Italia per l’anno in corso, portandole allo 0,9% dal precedente 0,7%. In sostanza la crescita reale dell’Italia risulterebbe maggiore rispetto alla crescita dei prezzi al consumo e questa è una condizione del tutto eccezionale in periodi che possiamo considerare normali, una volta archiviato il Covid, da un punto di vista macroeconomico.
La previsione della Commissione è del tutto condivisibile, considerato il buon primo trimestre nel quale il Pil italiano è cresciuto dello 0,3% sul trimestre precedente e dello 0,6% sullo stesso trimestre del 2023 e il fatto che la crescita già acquisita per l’anno in corso si attesta allo 0,5%. Potremo dunque confidare su una dinamica del Pil di segno positivo e di entità non trascurabile anche se inferiore a quanto servirebbe alla nostra economia e alla messa in sicurezza del debito pubblico. Ma d’altra parte come potrebbe verificarsi una crescita maggiore con tassi europei così alti? Ricordiamo che essi manifestano i loro effetti più restrittivi proprio sui Paesi a inflazione più bassa, com’è il caso dell’Italia. Con il tasso di riferimento al 4,5% e l’inflazione allo 0,8%, il suo valore reale si attesta a un elevatissimo 3,7%. Con i prezzi quasi fermi, quali imprese possono permettersi di pagare tassi reali così elevati?
L’augurio è in conseguenza che la Bce avvii in giugno il tanto atteso percorso di riduzione dei tassi e che non sia timida nel seguirlo. In caso contrario, dopo un 2023 senza sostanziale crescita nell’insieme dei Paesi Euro, e una timidissima nell’anno in corso, rischiamo di ritrovarci con un 2025 quasi altrettanto debole. Non che al momento le previsioni della Commissione siano particolarmente ottimistiche per la crescita dell’Eurozona nel 2024: dopo il +0,4% del 2023, totalmente dovuto al trascinamento dell’anno precedente, essa prevede che il Pil cresca dello 0,8% nell’anno in corso, un decimo in meno dell’Italia, per poi salire all’1,4% nel 2025 (ma la precedente previsione era dell’1,5%). Di poco migliori le previsioni per l’intera Ue: l’1% tondo nel 2024 /dallo 0,9% delle precedenti stime) e l’1,6% nel 2025 (tuttavia in riduzione rispetto al precedente 1,7%). In sostanza nessuna crescita strabiliante, tuttavia la riflessione sulle cause dell’insufficiente crescita del biennio 2023-24 non appare nell’analisi della Commissione, probabilmente per non turbare l’autonomia della Bce e, dunque, neppure la sua capacità di commettere errori in proprio.
Il relativo ottimismo della Commissione sulla crescita dell’Italia nell’anno in corso è peraltro temperato dal peggioramento della previsione sul prossimo, attesa ora all’1,1% contro l’1,2% della precedente valutazione. In questo caso ci auguriamo che sbagli per difetto mentre prevediamo che ciò avvenga con certezza in relazione alla previsione dell’inflazione al consumo del nostro Paese, attesa all’1,6% nell’anno in corso e all’1,9% nel prossimo. Soprattutto il valore dell’anno in corso appare completamente irrealistico alla luce del suo andamento nei primi quattro mesi.
Infine, le previsioni della Commissione europea sui parametri della finanza pubblica italiana: essa prevede che il rapporto del deficit sul Prodotto interno lordo dell’Italia scenda al 4,4% nell’anno in corso dopo il 7,4% del 2023, per poi risalire al 4,7% nel 2025. Se è buono e da sottoscriversi il dato dell’anno in corso, non risulta invece condivisibile il peggioramento atteso nel prossimo. Infatti, se il gradino di miglioramento per il 2024 non è semplice da ottenersi, assi di più risulta esserlo invece il mantenimento del risultato conseguito anche per l’anno successivo.
Il principale elemento di preoccupazione è invece da riscontrarsi nell’andamento atteso del rapporto debito/Pil. Al riguardo la Commissione scrive: “Il rapporto debito pubblico/Pil è destinato ad aumentare nel 2024-2025 a causa di un differenziale di crescita degli interessi meno favorevole e dell’effetto ritardato degli incentivi alla ristrutturazione delle abitazioni”. Ecco questo andamento, che sembra derivare soprattutto dall’attesa di un peggioramento della spesa per interessi e del costo medio del debito rispetto alla crescita nominale del Pil, dovremmo proprio cercare di evitarlo.
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