L’Ocse ha diffuso ieri l’Interim Economic Outlook dal titolo “Steering through uncertainty”, nel quale le previsioni sulla crescita del Pil mondiale per quest’anno vengono riviste al ribasso dello 0,2% rispetto allo scorso dicembre, dal 3,3% al 3,1%, mentre per il prossimo il taglio è dello 0,3% al 2,9%. Ridotte anche le stime per il Pil degli Stati Uniti (2,2% nel 2025, due decimali in meno; 1,6% nel 2026, ben mezzo punto in meno), dell’Eurozona (1% nel 2025, 1,2% nel 2026, con una riduzione in entrambi i casi dello 0,3%) e dell’Italia (0,7% nel 2025, -0,2%; 0,9% nel 2026, -0,3%).
L’organizzazione con sede a Parigi evidenzia anche che i dazi potrebbero peggiorare il quadro e complicare la discesa dell’inflazione che resta purtroppo superiore alle previsioni, nonostante l’andamento dell’economia. Secondo Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «come suggerisce il titolo del report dell’Ocse, l’incertezza al momento domina i mercati e l’attività economica».
Cosa si può fare per ridurre questa incertezza?
Nel contesto attuale mi sembra che possa essere la geopolitica, la diplomazia, per esempio con un accordo di pace sull’Ucraina, la chiave per consentire all’attività economica di riprendere fiato e cercare una ripartenza visto il suo momento di debolezza.
Sempre che non si inneschi una spirale sui dazi…
Esattamente. Trump vede i dazi come strumento per un ritorno all’età dell’oro negli Stati Uniti. Al momento vediamo purtroppo un rialzo del prezzo dell’oro che non è un segnale positivo, visto il suo ruolo di bene rifugio. Si tratta, anche in questo caso, di un’espressione della fase di incertezza che stiamo attraversando, in cui i beni esportati da un Paese come il nostro potrebbero essere colpiti da tariffe, con contraccolpi inevitabili sulle previsioni di crescita già non brillanti.
Secondo l’Ocse, la crescita sarà inferiore alle attese. Tra l’altro il segretario del Tesoro Bessent non esclude che gli Usa possano andare in recessione. Se a questo aggiungiamo un’inflazione che scende troppo lentamente o che addirittura potrebbe salire a causa dei dazi, il quadro non è certo positivo.
Non credo che vedremo una stagflazione pesante come in passato, ma certamente non è uno scenario auspicabile per l’economia. In questa fase di incertezza ci vorrebbe quanto meno un certo grado di stabilità e forse una pace in Ucraina potrebbe in questo senso essere d’aiuto. Per questo, come dicevo prima, la geopolitica assume un ruolo cruciale.
Se l’inflazione dovesse tornare a salire, le Banche centrali dovrebbe frenare le riduzione dei tassi di interesse e magari pensare a rialzarli.
La situazione più favorevole è che le Banche centrali lascino i tassi invariati senza invertire la rotta tracciata nei mesi scorsi che punta a una loro riduzione. Diciamo che lo status quo in attesa di nuove informazioni e risultati, soprattutto ai tavoli di pace, è uno snodo cruciale per tentare di fornire una certa base di stabilità. Sperando che Trump non prosegua sulla strada dei dazi, che rappresentano dal punto di vista economico la negazione di una verità fondamentale, ovvero che gli scambi internazionali sono stati e rimangono il motore della crescita mondiale.
Pensa sia possibile trovare un modo di trattare con Trump sui dazi?
Il Presidente americano è molto spregiudicato e non sarebbe sorprendente se dopo aver annunciato una cosa facesse l’esatto contrario. Dunque, la possibilità di evitare l’escalation sui dazi esiste. C’è da sperare che da tutte le parti si comprenda che gli scambi internazionali rappresentano un propulsore per l’economia, purché portino un beneficio per tutti.
Secondo l’Ocse, occorre una disciplina fiscale per assicurare la sostenibilità del debito pubblico. In questa fase non sarebbe meglio avere una politica fiscale “attiva” per cercare di attenuare l’incertezza?
Sì. La politica fiscale ha un ruolo molto importante in questa fase, perché potrebbe, se utilizzata in modo appropriato, accrescere le prospettive di certezza, di visione positiva, ottimistica. In questo senso sarebbe importante poter avere una politica fiscale che sia a vantaggio di tutti e, quindi, declinata in modo da essere “su misura” per ogni Paese, considerando che quelli europei presentano non poche differenze a livello economico tra loro.
Allora, oltre che Trump, anche l’Ue dovrebbe cambiare rotta, visto che settimana scorsa la Commissione ha ribadito che le regole del Patto di stabilità non sono in discussione…
Assolutamente sì. Colpisce che, nonostante questo quadro incerto che abbiamo di fronte, la Commissione voglia mantenere immutato il quadro delle regole fiscali, senza mostrare nemmeno una timida apertura al riguardo.
(Lorenzo Torrisi)
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