Il fatturato dell’industria ad aprile, come comunicato martedì dall’Istat, è cresciuto del 2,7% in termini congiunturali e addirittura del 22% su base annua. Inoltre, il ministero dell’Economia e delle Finanze, nel documento diffuso lunedì relativo al “Programma trimestrale di emissione”, spiega che “il robusto incremento del Pil previsto per il secondo trimestre dovrebbe portare la crescita acquisita al T2 in linea, se non al disopra della previsione media annua del Def (3,1%)”. Cifre che contrastano non solo con l’aumento del ricorso alla Cassa integrazione a maggio, ma anche con quanto affermato la scorsa settimana da Carlo Bonomi, che aveva invitato a fare molta attenzione rispetto alla revisione al rialzo operata dall’Istat sul Pil del primo trimestre.
“Non vorrei che qualcuno iniziasse a raccontarci che sta andando tutto bene”, aveva aggiunto il Presidente di Confindustria. Come stanno realmente le cose? «Preferisco non entrare nelle polemiche, mi atterrei ai fatti, ai dati reali. Dopo aver visto i primi di quest’anno, aver sentito anche tantissime imprese, aver raccolto opinioni, resto dell’idea – ci dice Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano – che il 2022 non sarà certamente una fotocopia del brillante 2021, ma comunque l’Italia sorprenderà tutti per la sua resistenza e la sua capacità di reazione e di ripresa».
Quale dato l’ha colpita in particolare?
Guardiamo gli ultimi. Nel trimestre febbraio-aprile, la produzione industriale è cresciuta del 2% (si tratta del dato più alto tra i principali Paesi dell’Eurozona), mentre il fatturato dell’industria, in volume, del 2,4% rispetto al trimestre precedente. Questo dimostra che l’industria non è alla deriva come spesso è stato tratteggiato nelle previsioni, nelle indagini qualitative, nei sondaggi, ma presenta una dinamica positiva, soprattutto considerando che nel frattempo le materie prime costano di più e non mancano problemi di approvvigionamento, sebbene in misura minore rispetto ad altri Paesi come la Germania. Se a questo aggiungiamo le costruzioni che ancora registrano ottime performance e un settore che sta ripartendo alla grande dopo l’allentamento delle restrizioni anti-Covid come il turismo, abbiamo una situazione di tenuta complessiva del sistema.
Dunque ha ragione il Mef a sbilanciarsi indicando la possibilità di una crescita in linea con quella stimata nel Def?
Sono convinto che il Mef sappia molte più cose di noi, probabilmente ha degli indicatori provvisori che lo spingono a fare quella previsione sul Pil che non mi sembra così campata per aria. Per quanto riguarda le imprese, in diversi settori che seguo sento parlare della presenza di molti ordini ancora da evadere. Certo, alcuni ritardi sugli approvvigionamenti di componenti cominciano a farsi sentire anche nelle nostre filiere, ma complessivamente la situazione appare più che buona. Nello stesso tempo bisogna anche ricordare che il secondo semestre rappresenta una grande incognita.
Lo stesso Mef ricorda in tal senso le incognite relative al rialzo dei tassi e a nuove impennate dei prezzi energetici. È possibile mettersi al riparo da questi fattori esogeni?
Non abbiamo specifiche armi a disposizione per poter fronteggiare un eventuale mutamento avverso dello scenario. O meglio, le armi sono quelle che sapevamo di avere già dall’inizio, ovvero il fatto che l’Italia, come la Spagna, ha un potenziale da sganciare sul suolo di Pnrr superiore agli altri Paesi dell’Ue. Nessuno sa come si svilupperà lo scenario del secondo semestre, perché le incognite sono talmente tante che si possono solo fare delle congetture. In questo momento possiamo solo sperare che giorno dopo giorno i segnali di tenuta del nostro sistema continuino a manifestarsi.
Di dati ne arriveranno molti nei prossimi mesi. Quale potrebbe essere quello cruciale?
Nel documento del Mef si lascia intendere che nel secondo trimestre potrebbe esserci una crescita rilevante. Infatti, per avere un allineamento della crescita acquisita con la previsione media annua del Def si dovrebbe arrivare a un +0,5% di Pil: non è poco se guardiamo al nostro recente passato. Credo, quindi, che sarà importante la stima preliminare sul Pil del secondo trimestre che verrà diffusa il 29 luglio. Nel frattempo spero che si possa salvaguardare la fiducia dei consumatori, visto che contribuiscono per oltre due terzi al Pil, rispetto a scenari economici apocalittici. Per certi versi assistiamo a un fenomeno piuttosto paradossale.
A che cosa si riferisce?
A giugno l’indice di fiducia dei consumatori mostra un calo marcato nella componente relativa al clima economico. Tuttavia, l’indice di fiducia delle imprese nello stesso mese è cresciuto. Il paradosso sta qui: se le imprese, che hanno il polso della situazione economica, sono otttimiste, come possono le famiglie essere pessimiste? Nel momento in cui si paventano razionamenti, crolli del Pil non ci si deve meravigliare che le famiglie possano decidere di tirare il freno a mano della spesa. Io credo che semmai bisognerebbe cercare di intervenire per attutire i rialzi che l’inflazione sta determinando e mi sembra che i recenti dibattiti sulle misure per cercare di aumentare i redditi delle famiglie vadano in questa direzione.
Bene allora la riduzione del cuneo fiscale strutturale di cui si sta parlando?
Va bene cominciare una riflessione in merito, ma penso che il Governo prenderà una decisione solo sulla base dei dati reali. Non è detto che l’economia italiana non riesca nel miracolo di stupire tutti, anzi sono quasi certo che lo farà. Un Governo che ha senso di responsabilità vedendo, sulla base dei dati, che la situazione si sta facendo veramente critica prenderebbe delle misure. Capisco che il taglio del cuneo fiscale è un intervento da tempo agognato, ma poiché occorre anche far scendere il rapporto debito/Pil bisogna prestare attenzione a parlare di extragettito e disponibilità che sono tutte da vedere. Come già detto in precedenti occasioni, credo che la tattica della gestione della crisi con una navigazione a vista sia l’unica possibile. Bisogna vedere giorno dopo giorno quale scoglio abbiamo di fronte e come evitarlo, altrimenti si rischiano di compromettere dei meccanismi anche di resilienza strutturale dell’economia che sono stati introdotti in questi anni.
Per esempio?
Le imprese sono diventate più efficienti, in questo momento stanno tenendo in piedi l’export, stanno mantenendo l’occupazione e aiutando le altre componenti del Pil. I trasporti, il magazzinaggio hanno avuto un boom enorme nel sentiment dell’indice di fiducia, se giriamo sulle nostre autostrade non vediamo recessione. C’è una tenuta del sistema, dei commerci, che bisogna evitare di compromettere anche irrigidendo i fattori di produzione. Anche il Governatore della Banca d’Italia Visco ha evidenziato la necessità di evitare di innescare di nuovo nel nostro Paese la spirale salari-prezzi. Non è il momento di affidarsi a delle sensazioni o a delle congetture su come sta andando il sistema senza avere il suffragio dei dati reali.
Aspettiamo, quindi, di vedere quanto meno com’è andato il secondo trimestre.
Assolutamente, perché se l’Istat ci dicesse che c’è stata una crescita dello 0,5% vorrebbe dire avvicinarsi al 3% annuale. Questo non toglie che esistano situazioni di disagio evidenti, ma un conto è essere in una crisi conclamata con uno sfilacciamento completo degli equilibri economici e sociali, un impoverimento secco del livello dei redditi, del potere d’acquisto delle famiglie, un altro è essere in una situazione dove l’economia resiste e riesce a produrre anche degli anticorpi. Credo che le misure prese dal Governo sul calmieramento dei prezzi di bollette e carburanti, oltre che il bonus da 200 euro, abbiano fatto in modo da evitare lo sfilacciamento sociale. Se poi l’economia resiste e continua a generare reddito, valore aggiunto e mantenere i livelli occupazionali potrebbe veramente darsi che tutti gli scenari che sono stati paventati anche fino a qualche settimana fa si rilevino totalmente infondati e vengano smentiti dalla realtà.
(Lorenzo Torrisi)
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