SCENARIO/ Sapelli: economia di guerra e recessione smentiscono le bugie di Davos

- Giulio Sapelli

A Davos si sono smontati gli allarmi sulla recessione. Di fatto si finge di non vedere che siamo in un'economia di guerra disastrosa

worldeconomicforum davos 1 lapresse1280 640x300 A Davos: Klaus Schwab, Olena Zelenska, Jens Stoltenberg (LaPresse)

La recente riunione di Davos, così come le dichiarazioni della signora Lagarde, accompagnate dai sussurri della Federal Reserve e dalle sagge ma inascoltate parole della grande Yellen, diffondono nella corona degli angeli della stampa internazionale il convincimento che non si vada incontro a una recessione mondiale. E neppure a un pericolo di inflazione che interrompa i cicli di riproduzione del capitale così come minaccia invece ogni giorno di accadere per via della vera inflazione che si è resa manifesta: ossia un’inflazione da carenza di offerta da monopsonio – così come rendono manifesto per esempio anche i cali improvvisi e non previsti dei prezzi delle materie prime questa volta per scarsità di domanda.

I monetaristi, che tengono alta la sorte esistenziale di centinaia di migliaia di componenti delle classi, dei ceti e dei quasi gruppi di appartenenti alle webleniane classi agiate della finanza dispiegata ad alto rischio di leva, nascondono tutto ciò. Il problema è che il senso storico generale del periodo che il mondo sta vivendo sfugge ai più: siamo in una congiuntura storica di economia di guerra quale non si era manifestata prima in forme così determinanti, perché le precedenti guerre locali da mondo duopolare da Guerra fredda avvenivano non nelle vene giugulari del mondo. Vene che sono – con quelle petrolifere del Grande Medio Oriente – quelle europee, che segnano il tracimare dell’Europa verso l’Asia Centrale e i confini delicatissimi dell’Heartland così come oggi accade.

Che si sia in economia di guerra lo comprova l’avvento sempre più fitto di misure di programmazione economica, che proprio nell’Ue hanno costruito le cattedrali dell’erogazione dei finanziamenti di sostegno, sia agli investimenti che ai consumi, prima in guisa anti-pandemica, poi in guisa di sanzioni pro Ucraina e ora in guisa di sostegno alla transizione plurima, energetica e green sino ad articolarsi nel diffondersi di nuovi accordi interstatali che seguono quello storico post-bellico mondiale franco-tedesco di Aquisgrana e che ora si articolano nei trattati franco-italiani e – recentissimo – franco-spagnolo. Tali accordi si accompagnano ai trattati di fatto tra medie potenze mitteleuropee e baltiche con la loro preclara manifestazione militare di ampliamento della Nato.

Tutto si tiene e tutto si ispira alla grande trasformazione dell’economia Usa. Essa va verso un nuovo New Deal neo-capitalistico da transizione multifattoriale che ha il segno della programmazione para-bellica descritta da Schumpeter – il più attuale e grande degli economisti e dei filosofi della storia da rileggere oggi – nel suo capolavoro Capitalismo, socialismo e democrazia.

Nuovi tempi, nuove realtà: nuove disuguaglianze dirompenti. Nuovo mondo.

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