Le credenziali di al Sharaa, visto il suo passato, sono dubbie, e fare della Siria uno Stato inclusivo per le venti minoranze etniche e religiose presenti non sarà facile. Diventerà un’impresa impossibile, osserva Laura Mirakian, ex ambasciatrice italiana a Damasco, se la comunità internazionale non manterrà il dialogo con la leadership del Paese per evitare un pericoloso isolamento.
La ricostruzione ha bisogno di interventi massicci dall’esterno, visto che ormai la stragrande maggioranza dei siriani vive sotto la soglia di povertà, in un processo nel quale l’Italia e l’Europa possono giocare un ruolo fondamentale, continuando a mantenere i rapporti con il nuovo governo. È l’unico modo per riuscire a risollevare la Siria. Una sfida difficile che si accompagna ai problemi con i vicini di casa: Turchia, Israele, Libano. Tutti confini nei quali la tensione è ancora alta.
Per quello che ha mostrato finora al Sharaa, possiamo credere alle sue parole su una Siria inclusiva, che rispetta tutti indipendentemente dalla loro religione o etnia?
Molto dipende dall’interazione con gli attori regionali e internazionali. Chiunque conosca la Siria sa che essa è inclusiva o non è, perché la abitano oltre una ventina di minoranze etniche e religiose. Quella che abbiamo chiamato in questi anni “guerra civile” è stata la risultante negativa sia di questa interazione, sia di interferenze alimentate da interessi esterni. Per ora, il linguaggio di Al-Jowlani, alias al Sharaa, nonostante un passato discutibile e per molti versi oscuro, è sincronizzato su parametri accettabili alle democrazie. La nuova Costituzione dovrà confermarlo. È in gioco la sopravvivenza del Paese.
Nonostante gli accordi del governo siriano con gruppi curdi, rimane il pericolo che la Turchia voglia risolvere a modo suo la questione, eliminando alla radice il problema dal punto di vista militare. Che conseguenze avrebbe un’azione del genere? L’ISIS, senza i curdi, rialzerebbe la testa?
I curdi hanno avuto un ruolo importante di contrasto all’ISIS, al fianco della coalizione a guida americana. La Turchia potrebbe cedere alla tentazione di sgominare i curdi, soprattutto ove l’Occidente abbandoni il terreno e l’appoggio che ha dato loro in questi anni. Ma le recentissime dinamiche tra Erdogan e Ocalan, che hanno indotto quest’ultimo a invitare il PKK a deporre le armi, potrebbero attenuare i contrasti e aprire la strada a una revisione della politica turca anche nei confronti dei curdo-siriani. Peraltro, Ankara non ha interesse a rivitalizzare l’ISIS, sempre in agguato, annidato nei deserti siriani, e il sostegno conferito ad Al-Jowlani nel vicino distretto di Idlib, se ben letto, ne è stata una riprova.
Israele si è presa di fatto una parte del territorio siriano e non si fa scrupolo di agire militarmente in Siria. Rimarrà una situazione conflittuale con Tel Aviv?
Israele si sta muovendo in Siria in via precauzionale, visto che le credenziali di Al-Jowlani sono a dir poco dubbie. Del resto, anche nell’epoca Assad, la Siria è stata oggetto per anni di operazioni israeliane in funzione anti-iraniana. Se nell’epoca al Sharaa la situazione rimarrà o meno conflittuale dipenderà anche e soprattutto dalla nuova leadership siriana.
Anche sul confine con il Libano la situazione non è definita e ci sono stati degli scontri. Hezbollah continua a rappresentare un nemico per la nuova Siria?
In Libano lo scenario sta cambiando, con il nuovo vertice emerso recentemente a colmare il vuoto di leadership che durava da anni, e che aveva consentito a Hezbollah di affermare il proprio potere e la propria organizzazione. Ora Hezbollah è molto indebolito, e l’influenza che può esercitare in Siria molto attenuata. Ma i due scenari, Siria e Libano, sono storicamente intrecciati e la stabilizzazione dell’uno è collegata a quella dell’altro. Ripeto, per l’intera regione sarà importante il contributo della comunità internazionale, auspicabilmente sinergico.
Tutti, dalla Turchia al Libano, allo stesso Occidente, vorrebbero un ritorno in patria dei profughi, che sono milioni. Il ritorno in massa rischia di caricare sul Paese un fardello troppo pesante? Come va pensato?
La Siria ha perso metà della sua popolazione negli oltre dieci anni di guerre. E contestualmente ha visto ridursi le sue risorse, da Paese a medio reddito a Paese sull’orlo della bancarotta, con il 90 per cento dei siriani sotto la soglia di povertà. Per risollevarsi occorreranno massicci aiuti umanitari e aiuti alla ricostruzione, senza i quali è impensabile la fine dell’esodo e il rientro degli emigrati. Da ultimo, la Siria è stata certificata dagli europei come “Paese sicuro”, dove poter scaricare gli esodati. Io per ora mantengo i miei dubbi.
Cosa deve fare la comunità internazionale, e l’Europa in particolare, con la Siria? L’aiuto economico deve essere subordinato alla realizzazione di condizioni politiche o si rischia, come con le sanzioni, di mettere in ginocchio il Paese e di non dare speranza alla popolazione?
L’Europa deve interloquire con la nuova leadership. La cosa peggiore è l’isolamento. L’Italia lo sta facendo, e anche altri europei. La “condizionalità” è necessaria, serve a segnalare i parametri fondamentali di una rinascita politica, sociale, economica, ma altrettanto necessario è un graduale riconoscimento dei progressi compiuti e un assiduo dialogo per alimentarli. È il metodo che la stessa Unione Europea sta utilizzando, con regolari incontri e primi dispositivi di alleggerimento delle sanzioni. Gradualismo e realismo.
(Paolo Rossetti)
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