Il disimpegno americano nel nord-est della Siria, in termini di aiuti umanitari e di presenza militare, potrebbe aprire la porta all’ISIS, ma anche ai russi e agli iraniani. Ecco perché, alla fine, osserva Vincenzo Giallongo, generale dei Carabinieri, con al suo attivo missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo, nonostante i suoi proclami, Donald Trump potrebbe mantenere almeno una parte dei militari nella zona o far subentrare i turchi nella gestione del territorio, abbandonando di fatto i curdi al loro destino.
Gli scenari che si possono aprire, tuttavia, sono ancora tanti: dipenderà dal dibattito interno che si sta sviluppando nell’amministrazione statunitense. Si tratta di un processo di fronte al quale il nuovo governo siriano, per ora, starà a guardare: è impegnato su troppi fronti e pensa soprattutto a consolidare la sua presenza a Damasco e ad Aleppo.
Trump taglia i fondi per l’estero e mette in crisi gli aiuti umanitari nella zona ora occupata dai curdi. Potrebbe anche richiamare i suoi soldati dall’area. Quali rischi comporta una politica del genere?
In realtà, Trump sta mantenendo quello che aveva promesso al suo elettorato: disimpegno nelle zone di guerra dove ci sono soldati statunitensi e “America First”. Non solo intende tagliare i viveri alle organizzazioni umanitarie, sia pur americane, che operano nel nord-est della Siria, nella parte controllata dai curdi, ma prevede anche di smilitarizzare l’area. Non è che abbia molti soldati nella zona, ne avrà un paio di migliaia, ma testimoniano che c’è un impegno americano sul posto.
Le leggi della geopolitica insegnano che, quando si crea un vuoto, c’è qualcuno che lo riempie. Se gli americani se ne andassero, chi potrebbe approfittarne?
Turchi, russi e iraniani. I primi potrebbero prendere in mano la situazione, garantendosi il controllo di un’area a maggioranza curda. Russi e iraniani, invece, potrebbero ritornare ad avere delle linee di comunicazione che, in questo momento, hanno perso a vantaggio dei nuovi governanti della Siria.
Ma c’è anche la possibilità che torni l’ISIS?
Nel momento in cui dovessero andare via gli americani, sospendendo anche gli aiuti umanitari e quindi le forniture di cibo, quell’area potrebbe diventare una mezza polveriera: ci sono migliaia di profughi, quasi tutti simpatizzanti, fin da bambini, dello Stato Islamico. Non so quanto i turchi, da soli, potrebbero controllarli. Sì, a quel punto potrebbero venire ricostituite cellule dello Stato Islamico. Difficile dire in quanto tempo tornerebbero a essere minacciose, ma il loro ritorno sarebbe un’eventualità da non scartare affatto. I curdi, da soli, non riuscirebbero a sostenere un’attività di contrasto.
Possibile che gli USA abbandonino l’area senza pensare alle conseguenze che questo comporterebbe?
Non credo che se ne andranno: Trump ha fatto delle promesse, fa tanti proclami, ma alla fine se li rimangia. È quasi un uomo di spettacolo, che ha reso la presidenza uno show. Non dico che sbagli tutto, ma è pittoresco nel suo modo di agire. In fondo, nella regione ha 2mila soldati, non 20mila; nel Pentagono ci saranno consiglieri che gli apriranno gli occhi, facendogli presente che forse non è il caso di andarsene.
Ma lui si lascerà consigliare?
Mi pare che il segretario di Stato Marco Rubio abbia detto di proseguire per altri 90 giorni con gli aiuti umanitari nella zona: è il segnale di un dibattito interno che, secondo me, alla fine, suggerirà agli americani di non abbandonare l’area. Se dovessero farlo davvero, potrebbero chiedere ai turchi di sostituirli nella gestione dei campi profughi, anche se poi non vedo come gli uomini di Ankara possano collaborare con i curdi per la gestione di queste strutture.
Penso comunque che gli americani potrebbero dimezzare la loro presenza, mostrando agli elettori che sono stati fatti dei tagli, ma lasciando comunque un margine di manovra ai soldati sul territorio. Sarebbe la cosa più sensata.
Di fronte a tutto questo, Al Jawlani, o Al Sharaa che si dica, rimane spettatore?
Questa zona è ancora Siria, ma i confini sono ancora labili. Gli uomini di HTS si stanno radicando a Damasco e ad Aleppo e, in questo momento, non hanno le forze necessarie per poter espandersi ancora di più. Stanno lì a guardare cosa succede, cercando di risolvere i problemi interni, che sono tanti.
Quindi, Al Sharaa, per ora, lascia gestire la situazione ai turchi?
Per adesso sì, anche perché i turchi sono quelli che lo hanno appoggiato e non gestiscono solo la questione dei curdi, ma anche tutto il resto. Presumo che siano i veri protagonisti: non vogliono apparire, ma ci sono.
Turchi e americani potrebbero siglare un patto sulla testa dei curdi?
Gli americani sono sempre stati protettori dei curdi, però Trump non li ha mai avuti in simpatia ed è disponibile a sacrificarli nel nome dell'”America First”. Se gli americani si disimpegnassero, i turchi potrebbero promettere loro di non belligerare per alcuni mesi e di sostituirsi nel mantenimento dei campi profughi. Faranno finta, per un po’, di tenersi buoni i curdi, dopodiché agiranno anche nei loro confronti.
D’altra parte, la politica turca non è mai stata di lungo termine. E la stessa cosa vale per quella americana. Trump non ha progetti di lungo termine, vuole stupire, procede a flash. Non è un politico, è un affarista. Sta gestendo l’America come se fosse una società. I suoi progetti non sono politici, ma esclusivamente finanziari.
Il piano di Al Sharaa di sciogliere le milizie curde (e non solo quelle) nell’esercito siriano rimane fattibile?
Bisogna fare una selezione di chi è ideologicamente disposto a entrare nell’esercito siriano. Poi occorre vedere quanto lo stesso esercito sarà condizionato da un’impostazione di tipo islamico. Non lo vedo un progetto così fattibile.
(Paolo Rossetti)
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