La deterrenza è l’uso strategico delle minacce perché gli avversari non intraprendano azioni indesiderate. Si basa sulla determinazione che i costi dell’azione supereranno per l’avversario qualsiasi potenziale guadagno. spesso attraverso la promessa di ritorsioni o danni inaccettabili. Esempio: “Pechino non può permettersi una sconfitta russa in Ucraina”. È quanto ha affermato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi a Bruxelles rivolgendosi a Kaja Kallas e rivelando gli interessi cinesi.
I cinesi con questa dichiarazione cercano di intestarsi una vittoria a costo zero agli occhi della Russia. Gli Stati Uniti stanno già perseguendo un accordo con la Russia per separarla dalla Cina, solo che Putin vuole trasformare l’accordo in vittoria e questo sta allungando i tempi delle trattative.
Nel frattempo, l’Europa è inerme davanti alle intenzioni americane, rispetto alle quali si divide. Con poche parole ben spese, senza colpo ferire, la Cina a cose fatte rivendicherà una parte nel risultato russo mettendo in dubbio la leadership degli USA.
Il Dragone cinese è un abile giocatore. Ha fintamente riferito in un incontro di quattro ore che “una vittoria ucraina sposterebbe l’attenzione degli Stati Uniti su Pechino, accendendo nuove tensioni nell’Asia-Pacifico”. Ma questo è un falso bersaglio. L’America non vuole vincere, vuole tornare a dialogare con la Russia. Se gli USA con un accordo favorevole alla Russia riuscissero a riportarla verso Occidente, la Cina dovrebbe rinunciare a tutte le risorse russe che ora ottiene a prezzo di saldo.
La Cina non è neutrale come l’UE sperava: protegge i suoi interessi. Pechino non sostiene Mosca con armi, ma con un appoggio economico e diplomatico che tiene in vita l’economia russa. Wang ha negato di fornire a Mosca aiuti militari diretti, ma ha affermato che, se lo facesse, la guerra sarebbe già finita. In realtà, tace il fatto che la coperta cinese coperta potrebbe essere troppo corta per tutti i fronti che si potrebbero aprire. E non dice che il mercato europeo è fondamentale per le esportazioni cinesi.
La Cina gioca una partita lunga, mentre l’UE, divisa e incerta, rischia di essere spettatrice. Potrebbe essere un preludio del fallimento del summit UE-Cina del 24-25 luglio a Pechino. Wang ha lasciato intendere che il summit potrebbe essere abbreviato come ritorsione delle due banche cinesi in blacklist per presunte violazioni delle sanzioni contro la Russia.
Sul piano commerciale, l’UE contesta il dumping e i sussidi cinesi, mentre Pechino limita l’export di terre rare, vitali per l’industria europea. Wang, in modo scaltro, ha offerto solo una riduzione dei tempi per le licenze di esportazione. La Cina sa di avere il coltello dalla parte del manico: il suo controllo sulle risorse strategiche è una leva che l’UE non può ignorare.
Intanto Donald Trump minaccia di abbandonare Kiev e ha sospeso forniture di munizioni, temendo carenze di scorte. Questo rafforza i timori cinesi di un futuro scontro con Washington, ma mette l’Europa in una posizione scomoda: senza gli USA, il sostegno a Kiev vacilla.
Concludendo, la politica non è fatta di sogni, ma di realtà. L’Europa deve smettere di illudersi che la Cina sia un commerciante neutrale. È un’autocrazia che fa del commercio e della finanza una leva di proiezione geopolitica.
In questo frangente all’Europa serve pragmatismo: ricostruire un dialogo con Trump, rafforzare l’unità interna e trovare alternative, come l’India, per bilanciare la proiezione cinese. Solo così Bruxelles potrà navigare questo mare in tempesta.
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