Un vertice informale convocato in fretta all’Eliseo è riuscito solo a sancire la divisione europea sul punto più delicato, l’invio di truppe di deterrenza in Ucraina a garanzia di Kiev.
Finisce così il tentativo di Macron di sfruttare il peso politico della Francia per far rientrare l’UE in una partita, quella dei negoziati, dalla quale è stata esclusa settimana scorsa, prima dal contatto diretto Trump-Putin e poi alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza.
Attorno al tavolo sedevano i capi dei governi di Francia, Italia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Danimarca, Polonia e Olanda, più i vertici di UE (von der Leyen) e NATO (Rutte). È stata espressa una volontà di condividere le scelte con gli Stati Uniti, ma niente di più concreto.
Macron va avanti con il suo progetto militar-industriale, che collima più o meno con quello di Draghi e von der Leyen, “dare una realtà tangibile all’apparato militare-burocratico-industriale europeo”, con la differenza che il primo avrebbe sede a Parigi, il secondo a Bruxelles. A dirlo è Agustín Menendez, docente di diritto pubblico comparato e filosofia politica nell’Università Complutense di Madrid.
Secondo il giurista una sola buona idea è emersa nella giornata di Parigi, quella del presidente del Consiglio europeo António Costa: occorre negoziare con la Russia una nuova architettura di sicurezza europea. Questo è realismo politico, il resto no.
Spiazzata, disunita e fuori dai giochi. Niente da fare per l’UE?
Stando alle dichiarazioni, erano mesi che i vertici europei si preparavano al ritorno di Trump alla Casa Bianca. Nei giornali si parlava di una “Europa a prova di Trump” (Trump-proof Europe). E invece giovedì scorso sul Financial Times Macron ha riconosciuto che l’UE era, malgrado tutto, essenzialmente impreparata all’esito delle elezioni USA.
Per venire a noi?
Sembra che i governi europei non siano ancora riusciti ad elaborare il lutto. Sempre Macron ha paragonato la vittoria di Trump, e soprattutto i suoi primi 25 giorni, ad uno elettroshock per l’Europa.
E non è una analisi corretta?
Se gli Stati Uniti, come sembra, si stanno avvicinando velocemente a uno scenario di decisionismo schmittiano, e non a caso John Yoo ed Adrian Vermeule sono di ritorno alla Casa Bianca, l’Unione Europea avrà tantissime difficoltà ad agire. Ma è il risultato della sua strutturale “joint decision trap” (trappola della decisione congiunta, nda). Questa è una delle cause, non l’unica, del format della riunione di ieri: una macroniana “coalizione di volenterosi” che non sembra avere risolto granché. Non si sono messi d’accordo neanche sul fatto, di per sé cruciale, di garantire l’Ucraina mediante l’invio di truppe.
Nondimeno Macron è l’unico leader europeo ad agire. Qual è il suo progetto?
Una premessa. Il futuro politico della presidenza Macron non sembra roseo. Bayrou rappresenta una novità, perché non è una semplice pedina del presidente e perché la sopravvivenza del suo governo è letteralmente nelle mani delle opposizioni. Detto questo, il “progetto” europeo di Macron mi sembra chiaro.
Quale sarebbe?
Si avvicina molto a quello che ha presentato in questi ultimi due anni Mario Draghi. Macron pensa alla “force de frappe” e alla capacità militare della Francia come asso nella manica per rientrare nel gioco politico ed economico.
Come?
Trasformando il complesso industriale-militare francese in leva della re-industrializzazione del Paese. Basta dare una piccola occhiata alla pagina web dell’Eliseo in questi giorni.
Perché Trump e Putin hanno escluso l’Unione Europea? Viene da pensare che lo abbiano fatto di comune accordo, ma forse per ragioni diverse.
Visto non soltanto da Mosca, ma anche da Pechino, Brasilia o New Delhi, la guerra in Ucraina è stata una guerra fra Stati Uniti e Russia. I governi europei sono apparsi assolutamente subalterni agli americani, basta ricordare la vicenda Nord Stream. In queste circostanze, la Russia ha ritenuto di non avere nessun vantaggio a trattare con l’UE, mentre la nuova amministrazione USA dà per scontato che gli europei accetteranno, forse dopo un po’ di schermaglie rituali, la volontà americana. Come hanno fatto con il Nord Stream.
Ma se la bussola di Trump è il vantaggio strategico per gli Stati Uniti, per quale motivo escludere l’Ue?
L’esclusione degli europei rivela fino a che punto le élites europee si sono suicidate, conformandosi ad una linea di azione prona agli interessi USA così come concepiti dalle élites “classiche” americane. Dick Cheney ha fatto l’endorsement di Biden, non dimentichiamolo.
È ormai chiarò che l’UE dovrà spendere di più per la propria difesa. Ma serve o no una deterrenza militare anti-russa? Qui le opinioni divergono.
In questi ultimi anni abbiamo sentito tanti politici europei dire che era fondamentale che l’Europa, finalmente, facesse geopolitica. Qualcuno ha pensato che per farlo bastasse “parlare della giungla”. Ma mai nessuno di questi politici si è fermato a riflettere su come stiano le cose viste dalla prospettiva russa. Certamente non lo hanno fatto i baltici, e questo è comprensibile. È meno scusabile che anche gli altri vi abbiano rinunciato.
Qual è la domanda che i leader europei non si sono posti?
Per dirne una, forse la più importante: fino a che punto i leader russi avranno pensato che alla Russia serve una deterrenza militare anti-NATO, se guardiamo la carta geografica della “membership” atlantica dopo il 1989? È così che siamo arrivati alla guerra in Ucraina, all’allargamento della Nato a Finlandia e Svezia e adesso a considerare come “normale” salire fino al 5% del Pil da destinare alla difesa.
E adesso?
Coloro che hanno ucciso le proprie auto diesel ora cercheranno nuovi mercati per i Panzer diesel.
Il realismo è morto?
No, non del tutto. Ieri mattina il presidente del Consiglio europeo António Costa, dopo un riferimento rituale alla Russia come minaccia globale, ha aggiunto che occorre negoziare con la Russia una nuova architettura di sicurezza europea. Questo è realismo politico, e c’è da augurarsi che nei prossimi mesi prevalga questa linea.
Come definirebbe Trump? Pragmatico, cinico o realista?
Le dichiarazioni di Trump sulle terre rare ucraine ci dicono che la sua è una trasparenza comunicativa quasi caricaturale. Una sorta di iper-realpolitik alla Theodore Roosevelt, se si vuole. Forse un po’ lontano dal realismo insegnato da Morgenthau o Mearsheimer, ma questo è.
Il nuovo segretario alla Difesa USA Pete Hegseth ha definito “irrealistica” l’unione dell’Ucraina all’Europa. Forse ora sappiamo cosa farà l’Unione Europea. Lo ha detto ieri Scholz: “l’Ucraina deve poter entrare nell’UE e difendere la sua democrazia”. Anche Merz ne parla apertamente.
Non sono sicuro che nel 2019 l’Ucraina avesse le condizioni per diventare uno Stato dell’UE. Non le aveva sul piano della cosiddetta condizionalità politica, e ancor meno per quanto attiene le condizioni istituzionali ed economiche. Sono sicuro che queste condizioni non sono migliorate in questi anni sciagurati e ho grossi dubbi che si possano raggiungere nei prossimi dieci anni. Entrare non sarebbe un bene né per l’Europa, né per l’Ucraina.
Su una cosa Trump e Bruxelles ormai concordano: l’Ue deve provvedere autonomamente alla propria sicurezza. È una spesa enorme, che richiede di sovvertire subito tutte le regole. Con quali esiti, sotto il profilo istituzionale comunitario?
Sono mesi che a Bruxelles si lavora a formule che permettano nuove e massicce spese militari comuni o coordinate, come ha ricordato von der Leyen in questi giorni. Tali formule dovrebbero permettere di salvaguardare il “nuovo” Patto di stabilità. Difficile ma non impossibile, se sono gli Stati ad affrontare individualmente la spesa. Ieri si sarà parlato certamente anche di questo. Qualcuno penserà che è arrivata finalmente l’occasione ideale per sbarazzarsi della zavorra assurda delle regole fiscali. Ma l’Europa non è in grado di farlo.
Per quale motivo?
Perché la governance europea non può essere sostituita da un governo democratico e non c’è una volontà politica comune. Per il resto, la differenza fra Trump e i dirigenti europei si riduce a come si spendono quei soldi in armamenti.
Trump vuole l’acquisto di armi americane o costruite da ditte americane. E gli europei?
Fra gli europei c’è chi vede un’opportunità per certi gruppi nazionali, come nel caso di Macron. Más dinero, es la guerra, si direbbe in spagnolo.
Draghi in un editoriale sull’FT ha accusato l’Ue di commettere errori – dall’eccesso di regolamentazione alla debolezza della domanda interna – dei quali, storicamente, è il primo corresponsabile. Qual è il suo obiettivo?
Von der Leyen ha aperto una battaglia all’interno delle istituzioni per una nuova ondata di deregulation, cioè ha fatto un primo passo concreto per implementare quello che potremmo chiamare “Piano Draghi”, annunciato il 6 settembre 2022 all’Economist e poi messo per iscritto nel cosiddetto Rapporto Draghi a settembre 2024. A mio avviso non è ciò di cui abbiamo bisogno, e ho già spiegato la mia opinione. Aggiungerei solo una cosa.
Prego.
Quella del Rapporto Draghi non è una nuova Europa, ma l’ennesimo giro di boa neo-ordo-liberista, adesso in salsa di economia di guerra speriamo soltanto fredda. L’articolo è parte di questa battaglia e di questo tentativo.
Draghi prova anche a minimizzare le conseguenze delle eventuali tariffe trumpiane.
Per qualcuno questo dimostrerebbe che la forma mentis draghiana è americana, ma lasciamo ai lettori trarre le loro conclusioni.
(Federico Ferraù)
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