L’economia europea non attraversa un buon momento, come certificato dagli ultimi dati Eurostat sul Pil relativi al quarto trimestre del 2024, e attende anche di scoprire quali saranno le decisioni di Donald Trump sui dazi da imporre alle merci Ue. Nel frattempo, i sindacati industriali europei hanno manifestato a Bruxelles per chiedere alla Commissione europea di adottare provvedimenti per evitare che le conseguenze delle politiche green di decarbonizzazione mettano a rischio posti di lavoro.
A pesare sull’economia del nostro continente, secondo Vittorio Coda, Professore emerito dell’Università Bocconi, sono anche le divisioni tra Paesi membri, che impediscono di avere «una politica economica unitaria e una capacità di interlocuzione unitaria con il resto del mondo, nonostante esista l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Questa situazione critica è aggravata dal momento politico-istituzionale che stanno attraversando Germania e Francia, i due Paesi che in tandem hanno sempre svolto una ruolo da guida dell’Ue».
La situazione potrebbe migliorare dopo le elezioni in Germania?
Difficile dirlo. In ogni caso ritengo che il processo di unificazione dell’Europa dovrà riprendere il suo cammino se si vorrà evitare che l’Ue rimanga un vaso di coccio tra Stati Uniti e Cina, esposta anche all’aggressività della Russia attuale. Il rapporto con gli Stati Uniti, inoltre, risentirà dell’attesa introduzione dei dazi da parte americana, dal momento che l’Ue dovrà a quel punto difendersi.
Pensa possa esserci la possibilità di trattative separate di Washington con i singoli Paesi membri dell’Ue?
Sicuramente Trump cercherà di intavolare trattative separate con i singoli Stati. Seguirlo su questa strada potrebbe nell’immediato comportare qualche vantaggio per i Paesi che stessero al suo gioco, ma l’indebolimento, se non lo sgretolamento dell’Ue che ne deriverebbe porrebbe tutti in una situazione di vassallaggio.
Ursula von der Leyen ha espresso la volontà di cercare accordi per espandere i legami commerciali e di investimento con la Cina. Cosa ne pensa?
Forse questa presa di posizione della Presidente della Commissione europea è conseguenza dell’atteggiamento dell’Amministrazione Trump nei confronti dell’Ue, oltre che delle pressioni dal mondo manifatturiero europeo che ha instaurato relazioni molto intense con la Cina, ma ritengo sia nella logica delle cose andare verso un allentamento dei rapporti con Pechino, per essere meno esposti a rischi.
Rischi di che tipo?
Rischi di eccessiva dipendenza dalla Cina per lo sbocco di nostri prodotti e/o per la fornitura di prodotti o componenti essenziali per le nostre aziende. Incombe poi il rischio della perdita di posti di lavoro per la crisi di interi comparti di industria, come quello già evidenziatosi nel settore automotive e manifestatosi in Italia con le difficoltà degli stabilimenti di Stellantis e l’offerta della Cina di venirci in soccorso con sue produzioni, offerta che, se accolta, ci metterebbe in seria difficoltà con l’Ee e aumenterebbe ulteriormente la nostra dipendenza dalla Cina. La capacità competitiva raggiunta dalla Cina nell’ industria automotive, e non soltanto in questa, è fonte di grande preoccupazione per l’Europa.
A proposito di automotive, la scorsa settimana l’Ue ha avviato il Dialogo strategico sul futuro del settore. Secondo lei, è necessario rivedere il New Green Deal come richiesto da alcuni produttori europei e anche dai sindacati con la loro manifestazione a Bruxelles?
La transizione verso l’auto elettrica ha creato non poche difficoltà ai produttori di automobili e, soprattutto, alle tante aziende eccellenti dell’indotto specializzatesi in componenti (dei motori endotermici) non più richiesti per la produzione di motori elettrici. Penso che occorra quanto meno gestire la transizione con più equilibrio, tenendo conto anche dell’impatto sociale devastante comportato da un’accelerazione così forte come quella impressa dal New Green Deal.
Si tratterebbe di creare un fondo per gestire le conseguenze sociali di questa transizione?
Non so quali ammortizzatori del disagio sociale occorra attivare. Penso che occorra anzitutto lasciare spazio anche alle altre soluzioni per la riduzione delle emissioni di CO2, rappresentate da motori/carburanti non inquinanti, e po valutare l’opportunità di un eventuale differimento della data di messa al bando della produzione di motori endotermici fissata per il 2035.
Cosa si potrebbe fare per aiutare l’economia europea vista la crescita zero in cui sembra imprigionata?
Dobbiamo prendere atto che in Europa si è investito tanto in ricerca e sviluppo nei settori collegati all’automotive, mentre gli Stati Uniti hanno investito molto nell’hi-tech. Se non vogliamo dipendere totalmente per certi prodotti e componenti dalla Cina o dagli Usa o da Taiwan, in Europa dobbiamo rivedere le politiche di ricerca e sviluppo e investire in aree strategiche che abbiamo sottovalutato. I singoli Stati non sono in grado di gestire una svolta di questo tipo; perciò è necessario che lo facciano insieme. Solo in questo modo sarà possibile recuperare terreno rispetto a Usa e Cina.
Si tratta di seguire le indicazioni della Bussola della competitività?
Il Rapporto Draghi, cui la strategia presentata la scorsa settimana dalla Commissione europea si ispira, ha spiegato come l’Europa può recuperare competitività. Se non si seguirà questa bussola si rinuncerà alla possibilità di essere un player globale per diventare vassallo di qualcun altro.
Bisognerà allora che dal voto tedesco emerga anche una posizione favorevole al debito comune indicato dal Rapporto Draghi…
Per fare in modo che i Paesi europei possano affrontare insieme le sfide sulla competitività occorre anche superare questo pregiudizio sul debito comune che ha sempre impedito di compiere importanti passi avanti sulla strada di una vera unione finanziaria ed economica dell’Europa.
(Lorenzo Torrisi)
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