Qual è l’ultima sui dazi? La domanda sembra troppo sbarazzina per una questione tanto seria come la guerra delle tariffe destinata a colpire l’economia mondiale e, di conseguenza, anche quella italiana, ma l’imprevedibile Donald Trump riserva ogni giorno una sorpresa.
Ieri si era ventilato un incontro con Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni, dall’Air Force One il Presidente americano ha detto che ci sarebbero stati contatti fugaci, ma nessun vero incontro perché sarebbe stato “irrispettoso”. Quanto ai dazi, la sospensione di 90 giorni non dovrebbe essere né allungata, né rinnovata. Usiamo come sempre il condizionale. Nel frattempo, gli uffici del rappresentante per il commercio Jamieson Greer hanno messo a punto una sorta di road map per affrontare una sequenza incredibile di trattative per Paese e per settore. Se davvero verranno seguite queste indicazioni si tratta di un lavoro che impiegherà molto tempo.
Il Governo americano comincerà a negoziare con i suoi 18 partner principali nei prossimi due mesi: si andrà avanti con blocchi di sei Paesi nelle prime tre settimane, continuando la rotazione fino all’8 luglio. A quel punto, i cosiddetti “dazi reciproci” scatteranno là dove non verrà raggiunto un accordo. Il negoziato sarà diviso in categorie: tariffe e quote; barriere non tariffarie come la regolamentazione sui beni americani; norme sull’origine dei prodotti; commercio digitale; sicurezza economica e altri aspetti commerciali, scrive il Wall Street Journal.
Secondo la portavoce della Casa Bianca, l’Amministrazione ha già ricevuto 18 proposte. L’India sembra che si sia mossa prima di tutti gli altri. La Cina dovrebbe seguire un percorso tutto suo. Intanto Pechino ha concesso alcune esenzioni tariffarie sull’import dagli Usa e valuta l’ipotesi di eliminare altri dazi ora al 125%. Michael Hart, capo della Camera di Commercio Usa in Cina, ha detto che l’import di prodotti sanitari è sotto revisione per possibili esenzioni. Aviazione, prodotti chimici e microchip potrebbero ottenere una sospensione.
Trump sostiene di aver parlato con Xi Jinping, ma non ha specificato quando, dice che sono in corso contatti a tutti livelli che però non risultano al segretario al Tesoro Scott Bessent. Ai margini della riunione del Fondo monetario internazionale, Bessent ha incontrato il commissario europeo all’Economia Valdis Dombrovskis, il quale ha dichiarato che “la Ue è disposta a raggiungere una soluzione reciprocamente accettabile”.
Sia la Commissione, sia i 27 Stati membri stanno ancora aspettando che gli Stati Uniti facciano la loro prima mossa e dicano formalmente che cosa vogliono. In ogni caso l’Ue ha detto di non essere disposta a rimettere in discussione l’imposta sul valore aggiunto, i sostegni all’agricoltura, gli standard sanitari e ambientali.
Anche la Gran Bretagna vuole tenere fuori da ogni discussione alimentazione e sicurezza in particolare automobilistica. La confusione è ancora grande sotto il cielo, ma la situazione non è affatto eccellente con buona pace di Mao Tsedong.
Non sono stati affatto sospesi i dazi del 25% sulle auto, in vigore dal 2 aprile e sono quelli che più bruciano per l’intera filiera industriale e per Paesi come il Messico e il Canada o in Europa la Germania, l’Italia, la Francia, la Spagna, la Polonia. È una tassa sulle importazioni che diventerà permanente stando al diktat partito dalla Casa Bianca. L’impatto sociale, forse ancor più che economico, è pesante in Europa dove l’automotive è il settore manifatturiero più grande, quello che occupa più lavoratori: ben 12 milioni (circa 900 mila in Germania, 272 mila in Italia seguita dalla Francia).
L’Unione europea si è trovata sguarnita di munizioni per rispondere alla guerra dei dazi in particolare nel comparto automobilistico. In marzo è stato varato un piano che conferma lo stop al motore endotermico entro il 2035, anche se sono stati concessi due anni in più per rispettare i limiti di emissioni di CO2. La Commissione invita gli Stati membri ad accompagnare la transizione con politiche e risorse adeguate. Nei prossimi mesi sarà a disposizione “uno strumento comunitario” che metterà in evidenza le opzioni disponibili negli Stati membri, per sostenere incentivi all’acquisto di auto elettriche.
L’onere in sostanza ricade soprattutto sui bilanci dei singoli Paesi e questo introduce una pesante frattura tra chi può spendere e chi no. La Germania, che pure è la più esposta, è in grado di mettere a disposizione fondi pubblici che l’Italia non ha.
Una volta capito in concreto cosa pretende Trump, la Commissione europea potrà rendersi conto che non è possibile gestire la situazione caso per caso e nemmeno solo con misure nazionali. Intanto perché il mondo della produzione nell’Ue è integrato di fatto non solo nell’auto, ma in comparti fondamentali dalla medicina al cibo (basti solo pensare alle importazioni di grano). E poi perché l’impatto in alcune filiere strategiche potrà essere tanto pesante da richiedere interventi congiunti, a cominciare da Sure, la cassa integrazione europea che va riattivata.
Parte di quelle risorse comuni che nel piano Draghi dovevano servire per recuperare competitività e ridurre il gap con gli Stati Uniti e la Cina, dovranno essere usate per non restare schiacciati nella guerra dei dazi che vede Washington e Pechino come i due grandi avversari strategici.
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