Che cosa succede in Germania? La domanda si fa angosciosa dopo il discorso al Parlamento tedesco, l’ultimo discorso da cancelliera, di Angela Merkel. Ci saremmo aspettati un discorso non divisivo, un discorso né di addio né, soprattutto, di partecipazione così diretta e quasi violenta all’agone pre-elettorale della sua patria.
Invece, mai come prima, Angela Merkel si è schierata non tanto nella lotta elettorale nazionale – una lotta che per il ruolo del popolo e delle classi dirigenti tedesche nella storia mondiale non può che essere europeo -, ma addirittura nella lotta interna alla Cdu, appoggiando un candidato che non potrà che mal figurare nella prossima lotta politica tedesca.
È certo che Armin Laschet sarà sconfitto e con lui la Cdu e che un ruolo importante in questa sconfitta l’avrà l’infausto discorso di Angela Merkel, che avrebbe invece dovuto parlare da europea e parlare alla Storia, quella con la S maiuscola di cui discettano Manzoni e Tolstoj e che pare non aleggiare più non solo sulle terre germaniche.
Ma l’errore della Merkel può essere stato gravissimo per le stesse sorti europee. Si ripete il dramma del Zentrum tedesco con Von Papen che accettò il 1º giugno 1932, dopo una profonda crisi politica che investì la Repubblica di Weimar, la nomina a cancelliere da parte del presidente della Repubblica, von Hindenburg: il patto era che la sua amministrazione avrebbe dovuto essere neutrale da un punto di vista politico e socio-economico. Sappiamo come finì: con l’alleanza con Hitler e i pieni poteri in Prussia, legando così quella storica terra alle sorti del Reich e con la distruzione morale e politica del Centro cattolico tedesco.
Tutto ciò fu una delle cause profonde che mossero Adenauer e il nuovo gruppo dirigente tedesco a rifondare il partito cattolico e a dar vita alla Cdu, ben diversa dal Zentrum degli anni di Weimar.
Orbene: in Europa non si corre nessuno di questi pericoli di sorta e troppo spesso da stupidi interlocutori evocati. Si corre piuttosto il pericolo che si sprofondi nel caos dei nazionalismi e, in conseguenza di ciò, nelle “alleanze” tattiche a due, a tre, a geometria variabile, insomma, mentre invece si dovrebbe operare guardando oltre, avendo di mira i destini dell’Europa nel mondo e dell’Europa nel partenariato con un’Africa che dell’Europa e del mondo può benignamente decidere le sorti. Tanto più dopo la tragedia diplomatica, prima che militare, dell’Afghanistan, che ha colpito gli Usa e tutti i suoi alleati, europei per primi.
Per questo l’incontro serale a due Macron-Draghi nell’antiparigina Marsiglia, tanto più per preparare – come è stato detto – un decisivo G20 ha avuto qualcosa di grottesco: a quella cena doveva esserci anche la Merkel, perché ella rappresenta – lo si voglia o no, lo voglia o no anche lei stessa – la nazione tedesca, senza la quale nulla si può compiere di positivo in Europa, così come nulla si può compiere senza una cooperazione federalistica e non nazionalistica tra tutte le nazioni europee. È triste pensare che tutte le patrie europee danno ancora il meglio di sé solo quando si rappresentano solo come nazioni fiere della loro storia, mentre lontano continua a essere qualsivoglia anelito veramente europeo in senso culturale e umanistico.
L’abbiamo capito sino in fondo quando si è assistito alle onoranze funebri di un grande francese e un grande attore come Jean Paul Belmondo: la Guardia Repubblicana suonava nella Place des Invalides le musiche dei suoi film e la commozione patriottica era grande, pura e nobile, e di esempio a tutti come solo in Francia può essere.
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