La crisi di governo in Spagna, le tensioni politiche nella Ue e il ruolo della supercommissaria Ribera. Von der Leyen deve correre ai ripari
Sono settimane che Ursula von der Leyen è circondata da voci di crisi politica. La presidente (popolare) della Commissione Ue è ufficiosamente imputata di tradimento del Green Deal a favore del riarmo (“Readiness 2030”). Sulla conferma della transizione verde, Ursula 2 ricevette un anno fa la fiducia dall’europarlamento appena rinnovato, ma in un passaggio tormentato. La maggioranza risultò molto risicata, con decine di franchi tiratori fra socialisti e verdi e qualche voto in soccorso dalla destra conservatrice.
Quel quadro politico – sconfitto alle ultime euro-elezioni – venne dichiarato definitivamente obsoleto nella formazione della nuova Commissione, in sede di Consiglio dei Capi di Stato e di governo.
Nella stanza dei bottoni entrò come vicepresidente Raffaele Fitto, ministro del governo italiano guidato da Giorgia Meloni, a sua volta leader effettiva di ECR in Europa. Neppure quell’operazione, tuttavia, filò liscia in un Consiglio in cui sedeva ancora il cancelliere socialdemocratico tedesco Olaf Scholz. I socialisti europei pretesero e ottennero una compensazione di peso eccezionale.
La spagnola Teresa Ribera, vicepremier del governo Sánchez con delega all’economia, venne promossa a Bruxelles in un ruolo non lontano da quello di “co-presidente” di von der Leyen. Nel suo portafoglio alla delega all’Antitrust (di gran lunga la più potente nella governance Ue) vennero allineate le competenze alla crisi climatica, all’energia e a una non meglio definita “transizione giusta e sociale”.
Una concentrazione di poteri senza precedenti, non avvicinata da nessun altro commissario, laddove fra l’altro il francese Stephane Sejourné – designato dal presidente (liberale) Emmanuel Macron – venne relegato all’industria, con un declassamento di Parigi a Bruxelles.
Nell’estate 2025 a Berlino governa il popolare Friedrich Merz, eletto sul crollo della precedente coalizione rossoverde. Soprattutto, vicino al crollo è l’esecutivo Sánchez a Madrid, travolto dagli scandali finanziari e dal controverso sostegno dei separatisti catalani dopo la sconfitta elettorale del 2023. È naturale che su questo sfondo la posizione di Ribera a Bruxelles stia entrando in rapida crisi.
A breve i socialdemocratici potrebbero essere al potere solo in Danimarca, in un’Europa che potrebbe ritrovare un baricentro politico nel triangolo popolari-liberali-destre conservatrici. L’ambientalismo radicale è ormai minoritario ovunque nella Ue, dove invece il riarmo sta diventando una doppia bussola (per sicurezza ed economia).
Non da ultimo: l’armistizio fra la UE e gli USA di Donald Trump non passerà soltanto attraverso un accordo sui dazi, ma anche dal ridisegno del mercato digitale “occidentale”. Un fronte sul quale l’Antitrust UE è stata finora molto rigida verso Big-Tech.
A minacciare la governance europea di una crisi che non ha veri precedenti, non è dunque la presidente della Commissione, ma la sua “super-vice” socialista. È vero che una UE nella tempesta difficilmente sembra poter evitare la sfida della transizione verso prassi politiche e regole istituzionali proprie di una democrazia compiuta. Un rimpasto di deleghe – se non proprio un ricambio di commissari – potrebbe rappresentare un passo tanto obbligato quanto utile, anche in chiave di “UE 3.0” a più di trent’anni dagli Accordi di Maastricht.
È un contesto in cui non può essere dimenticata la situazione di instabilità permanente in Francia, indotta l’anno scorso proprio dal voto europeo. Nessuno degli sbocchi ipotizzabili a Parigi si annuncia neutrale rispetto a Bruxelles. Il tentativo di resistenza di Macron fino al 2027 (quando comunque la Francia avrà un nuovo presidente, prevedibilmente molto diverso dall’attuale) potrebbe fallire e aprire la strada a presidenziali anticipate.
Oppure – dopo due governi andati a vuoto in un anno, con Michel Barnier e François Bayrou – Macron potrebbe puntare su un nuovo premier: e il suo volto – secondo rumor incessanti – potrebbe essere quello di Christine Lagarde, attuale presidente della BCE. Ad oggi non appare ancora un’ipotesi di lavoro, ma è sicuramente più di una suggestione giornalistica. Se dovesse maturare, sarebbe l’innesco potenziale di un risiko intermedio ed esteso fra le grandi poltrone UE.
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