Se la prende con un giudice della Corte suprema, deve subire una serie di provvedimenti giudiziari contro le sue decisioni, torna a chiedere la Groenlandia e mette in dubbio la Costituzione. Vuole mettere i dazi sui film stranieri e riaprire il carcere di Alcatraz. In un modo o nell’altro, alla fine, negli USA come altrove, si parla sempre di Trump.
Dietro c’è una strategia comunicativa, spiega Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, nella quale, però, bisogna distinguere le sparate per tenere su di giri la sua base elettorale e quelle che, invece, nascondono obiettivi commerciali o geopolitici.
La sua linea rossa resta l’economia e, al di là dei sondaggi negativi e dei nemici che si è fatto, da quel punto di vista il Paese tiene ancora. Ma Trump sa che sul governo dell’economia non può fallire: anche per questo, in vista del prossimo bilancio, spinge per ridurre il peso delle tasse.
Trump dice che non sa se dovrà rispettare o meno la Costituzione americana. Nel frattempo si moltiplicano i giudici che si oppongono ai suoi provvedimenti e non mancano attriti con la Corte Suprema. Cosa sta succedendo?
Trump va preso sul serio, ma non alla lettera. Provoca continuamente, basta vedere cosa è successo con la sua immagine vestito da papa: è il suo modo di comunicare. C’è tutto un mondo a cui sta bene anche un’immagine pacchiana come quella.
Lui stesso, fin dall’inizio, ha detto di non escludere un terzo mandato: è il suo modo di galvanizzare la base. Certo, probabilmente, se fosse per lui, farebbe anche volentieri a meno di rispettare costantemente la Costituzione, ma penso che questa dichiarazione vada presa come l’ennesima provocazione.
Ha di nuovo ipotizzato l’uso della forza per prendersi la Groenlandia, ma ha anche detto che vuole riaprire il carcere di Alcatraz e mettere i dazi sui film non girati negli USA. Deve mantenere sempre alto il livello dell’attenzione?
È così, però distinguerei: quando parla di terzo mandato, di Costituzione, parla ai suoi, galvanizza la base; quando parla della Groenlandia o dei dazi è diverso, perché lì c’è una strategia che persegue. La Groenlandia oggettivamente è strategica nella geopolitica attuale, non solo per le ricchezze e il sottosuolo, ma anche perché è una parte importante del passaggio a Nord-Ovest ed è sede di una grande base americana.
Per quanto il suo modo di intervenire sia sguaiato e diretto, queste prese di posizione rientrano in una strategia. I dazi, per esempio, sono un mezzo per ottenere concessioni dagli altri Paesi e rilanciare la produzione manifatturiera negli USA.
Oltre a certi giudici, ha preso di mira diversi studi legali, le università: non si sta creando troppi nemici?
Di nemici ne ha già a sufficienza; il suo scopo, comunque, è mandare messaggi. Secondo me, gli interessa tenere viva l’attenzione su di sé. Si parla sempre e solo di lui.
Più che lo slogan “America first”, vale il “Trump first”?
Direi che prima viene l’America di Trump. Così come ha ridisegnato il partito repubblicano, sta in qualche modo ridisegnando il ruolo degli USA nello scacchiere globale, nella gestione dei rapporti internazionali. È una strategia a tutto campo in cui non vedo niente di nuovo: l’attacco ai giudici è stato un tema della campagna elettorale.
L’ultimo sondaggio dava il suo gradimento al 41%, la percentuale peggiore degli ultimi anni: il suo elettorato comincia a non seguirlo?
La sua popolarità è scesa, ma direi che la sua base resta con lui. L’unica regola che continua a valere sempre negli Stati Uniti è quella del portafogli degli americani: la moratoria di 90 giorni sui dazi, parziale retromarcia rispetto a quanto annunciato inizialmente, è legata all’effetto che hanno avuto, ai timori delle borse e alla paura di una crescita dei rendimenti dei titoli di Stato, con conseguente aumento del debito.
Il suo argine è l’economia e sono i mercati, tant’è che, ora che dovrà delineare il bilancio, ha indicato la sua roadmap: anche se sappiamo che poi i cordoni della borsa li tiene il Congresso, ha chiesto un mega-aumento delle spese per la sicurezza interna e sta spingendo per una serie di riduzioni a livello di tasse statali e locali. La riapertura di Alcatraz rientra nel messaggio sulla sicurezza interna: deve rispolverare argomenti che interessano alla sua base.
Su questo si sta incentrando il dibattito politico?
I giornali, in realtà, stanno già dedicando molto spazio anche alle prossime presidenziali. Ancora dobbiamo arrivare al 2026 con le elezioni di midterm, eppure si parla del futuro politico della Ocasio-Cortez, di Kamala Harris che vorrebbe riprovarci, di Pritzker che potrebbe essere l’astro nascente dei dem. E siamo solo nel 2025: il dibattito è molto orientato sulla politica interna. In tutto questo, non credo che Trump sia cambiato, ma deve dare segnali sui temi che riguardano le promesse fatte.
La CNN ha messo in guardia Trump dagli effetti della guerra commerciale con la Cina. I dazi al 145%, in pratica un blocco commerciale nei confronti di Pechino, possono voler dire che i bambini americani avranno molte meno matite colorate tra cui scegliere, perché vengono dalla Cina. La gente è disposta a cambiare le sue abitudini nei consumi?
La concorrenza con la Cina è il perno della politica estera americana, lo era anche per Biden, anche se poi è stato travolto dalla guerra in Ucraina. Detto questo, i dazi USA al 145% sui prodotti cinesi e quelli cinesi al 125% sui prodotti USA non sono sostenibili per entrambe le economie. Cina e USA dovranno sedersi a un tavolo. Secondo una stima del WTO, se non cambia niente crolla l’80% del commercio mondiale. Trump farà accordi, la sua forza è che non è ideologico nelle sue decisioni, ma opportunista.
Se arriverà meno merce cinese e la gente si ritroverà sugli scaffali prodotti americani a prezzi più alti, si assisterà a un aumento dell’inflazione. Non è uno scenario pericoloso per lui, visto che proprio su questo ha puntato la campagna elettorale?
È chiaro che una bambola costruita in America costa di più di una bambola cinese, però Trump sta cercando di riequilibrare un sistema economico basato sulla totale dipendenza dall’import. Le prime avvisaglie della pericolosità della situazione le abbiamo avute durante il Covid: da lì la Cina ha cominciato a costruire un’economia autonoma e autosufficiente, ha strozzato la catena delle forniture.
Al di là delle polemiche e dei sondaggi, dal punto di vista economico l’America di Trump continua a reggere?
C’è stata una contrazione dello 0,3%, un aumento del 45% delle importazioni, ma è anche vero che l’economia tiene e l’occupazione cresce, anche se meno del previsto. Quello che conta, però, è la percezione della gente: le uova sono ancora care anche se l’inflazione è al livello minimo da un anno, e la gente, quando va al supermercato, constata che costano molto. Per questo Trump deve alleggerire il carico fiscale e tenere sotto controllo i prezzi: quella è la sua linea rossa. Il bilancio sarà un test importante, anche perché si vedrà se al Congresso ha ancora il controllo dell’intero partito repubblicano.
(Paolo Rossetti)
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