L’ultimo regalo di questo Anno dell’Astronomia 2009 lo ha fatto ancora una volta il Telescopio Spaziale Hubble, inviando a Terra poco prima di Natale la foto di centinaia di brillanti stelle azzurrine in una nebulosa della Grande Nube di Magellano (una delle Galassie satellite della Via Lattea): è un’istantanea sulla più grande sala parto delle stelle, dove si possono sorprendere sul nascere astri anche cento volte più massicci del nostro Sole.
Si conclude così un anno denso di eventi significativi non solo in campo astronomico ma nella scienza in genere.
È stato l’anno di Galileo e dell’anniversario delle sue prime osservazioni col cannocchiale; e puntualmente gli astrofisici gli hanno reso omaggio partendo proprio da quella Luna che il grande pisano aveva osservato stupito ed emozionato 400 anni fa. Sotto quella stessa superficie disegnata realisticamente nelle pagine del Sidereus Nuncius, la sonda americana LCROSS ha trovato le conferme della presenza di acqua ghiacciata: un dato interessante più per ampliare le nostre conoscenze della dinamica di formazione del nostro satellite che per fantasticare su improbabili risorse per le future basi lunari.
Altri risultati sono arrivati dal cosmo profondo in una forma tutta particolare, quella dei raggi gamma e per decifrarli c’è voluto un satellite della Nasa e una missione dal nome italiano, quello di Enrico Fermi, a cui l’Italia ha fornito lo strumento principale. Sono state scoperte un gran numero di nuove pulsar e si è potuto studiare meglio il funzionamento di questi singolari fari cosmici, rivelati circa quarant’anni fa e che, nel loro pulsante moto rotatorio emettono principalmente radiazioni alle alte frequenze dei raggi gamma.
Tracciare il bilancio di un anno di scienza però non significa soltanto stilare un elenco di risultati. L’impresa scientifica ha infatti tutta la vivacità e la drammaticità di una vicenda di uomini: dove il momento della scoperta – quella che finisce in prima pagina – non è più carico di significati di tante altre “scoperte” quotidiane e dove le diverse fasi di un programma di ricerca portano a galla altre dimensioni e altri risvolti dell’esperienza di chi fa scienza.
È quanto accade ad esempio quando un programma studiato e preparato con cura e pazienza da anni entra nel pieno della sua operatività. Come è avvenuto nel maggio scorso col lancio congiunto delle missioni Herschel e Planck della Agenzia Spaziale Europea (Esa): destinati, il primo a raccogliere la radiazione infrarossa per studiare la formazione delle galassie e delle stelle; il secondo a condurci in un viaggio nel tempo per rivelarci i lineamenti dell’universo bambino fotografati con estrema precisione. Ora i due satelliti hanno iniziato a scodellare nei computer dell’Esa le lunghe liste di dati e per gli astrofisici è iniziato un periodo febbrile ed eccitante di “lettura” del linguaggio cosmico che ci potrebbe permettere di sfogliare i primi capitoli della storia del nostro universo.
Ma mentre cercano le tracce incise nello spazio-tempo miliardi di anni fa, gli astrofisici non perdono di vista quanto sta succedendo nelle gallerie sotterranee del Cern di Ginevra, dove è ripartito il superacceleratore LHC, dopo parecchi mesi di suspence dedicati a una manutenzione dei 27 km di cavi superconduttori e delle apparecchiature programmate per rivelare la particelle fondamentali della materia. Si è così riaccesa la speranza che la grande macchina possa stanare il ricercato speciale, quel bosone di Higgs responsabile della massa presente nell’universo; va detto peraltro che la maggior parte dei fisici che in tutto il mondo lavorano per LHC non avevano mai perso la fiducia nella prosecuzione della loro avventura e nella possibilità di trovare, oltre all’Higgs, qualcosa che faccia “luce” sulla materia “oscura”, dando così una mano ai colleghi cosmologi.
Se l’anno galileiano è finito in bellezza, non altrettanto si può dire dell’altra ricorrenza storica: il duplice anniversario darwiniano. Dopo mesi di convegni e di eventi divulgativi, dove ha avuto una buona prevalenza l’approfondimento critico sulle teorie evoluzionistiche, è arrivato il colpo di coda del contestato finanziamento del Cnr alla pubblicazione degli atti di un convegno che ha portato alla ribalta anche in Italia quel conflitto tutto ideologico e poco scientifico tra evoluzionisti e creazionisti, che sembrava confinato nel contesto culturale Nordamericano.
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In realtà più che di un dibattito nel merito, circa l’origine delle specie viventi (sul cui carattere evolutivo è difficile avanzare dubbi con qualche fondamento scientifico), si è trattato di una polemica sulla politica della scienza e sugli assetti interni di un organismo dalla vita tormentata come il Cnr.
Anche se alcuni temi trascinati nel dibattito adombrano questioni di più ampio respiro – come quella di stabilire i criteri di scientificità di una indagine o di ridefinire i confini tra indizi, prove, ipotesi e teorie – che sarebbe utile non liquidare sbrigativamente, spinti dalla preoccupazione di difendere a tutti i costi l’intoccabile totem darwiniano.
Forse dovremo aspettare il 2010 per vedere praticata su larga scala quella apertura indicata dal matematico Laurent Lafforgue, chiamato due mesi fa dal Centro Culturale di Milano e da Euresis a commentare l’enciclica Caritas in Veritate: «Il desiderio e l’attesa della verità nella sua interezza sono amore nella conoscenza. Questo amore nella conoscenza è il vero ispiratore e motore della ricerca di tutte le verità particolari e della loro trasmissione; è questo amore a far sapere che queste verità particolari non racchiudono la verità e spingono a rimettersi in marcia. Proprio come leggiamo al paragrafo 30 dell’Enciclica: “C’è sempre bisogno di spingersi più in là: lo richiede la carità nella verità. Andare oltre, però, non significa mai prescindere dalle conclusioni della ragione né contraddire i suoi risultati. Non c’è l’intelligenza e poi l’amore:ci sono l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore”».