Cento chilometri sotto i nostri piedi c’è il centro di produzione del materiale magmatico che affiora in superficie durante le varie manifestazioni vulcaniche: il suo nome, come al solito di origine greca, è astenosfera e significa strato debole; è lì che si formano i serbatoi di materiale fluido e bollente che poi risale per emergere attraverso le grandi cicatrici planetarie delle dorsali oceaniche o dalle bocche dei vulcani.
Quello che succede in quelle movimentate zone dell’interno del Pianeta è però conosciuto solo in parte: i meccanismi di formazione e di trasporto del materiale fuso e le tempistiche che ne determinano la risalita sono tuttora oggetto di studio. E non è uno studio di poco conto, se si pensa che quei fenomeni sono i principali responsabili della formazione della crosta terreste, quindi del substrato sul quale si svolge la scena della vita sulla Terra. Le attuali conoscenze sull’argomento si basano in buona parte su modelli analogici e semi empirici, di tipo termo-meccanico e geochimico, che simulano il comportamento della astenosfera e descrivono le condizioni della sua permeabilità fino a stimare la velocità con la quale la lava è spinta verso l’alto.
Ora sembra che quei modelli debbano essere rivisti. Una ricerca condotta presso il Dipartimento di Geoscienze dell’ETH di Zurigo, i cui risultati sono pubblicati sull’ultimo numero di Nature, ha prodotto un risultato sorprendente: la velocità di risalita dei minerali fusi sembra essere 25 volte maggiore di quanto si pensasse. A questa conclusione i ricercatori sono pervenuti a seguito di sperimentazioni nate da un’idea di Max Smith, che al suo arrivo all’Istituto di Mineralogia dell’ETH ha proposto di costruire una gigantesca centrifuga di due metri di diametro e che ora è inserita nel pavimento di una cantina dell’Istituto. La macchina può ruotare a 2.800 giri al minuto e produrre un’accelerazione centripeta pari a tremila volte l’accelerazione di gravità terrestre, raggiungendo ai bordi una velocità di 850 km/h; a pieno regime, l’apparato sperimentale fa un rumore infernale che tocca i 120 decibel e, una volta spento il motore, per fermarlo completamente ci vuole quasi un’ora. Oltre all’elevato valore di accelerazione, il sistema riesce a simulare le condizioni di temperatura e pressione caratteristiche degli strati inferiori della Terra.
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Gli esperimenti puntavano a descrivere le condizioni del trasporto di materiali nell’astenosfera: una matrice di olivina – il minerale che costituisce i due terzi della parte superiore del mantello terrestre – simulava il contesto nel quale fluiva il vetro basaltico, analogo a quello che fuoriesce dalle dorsali oceaniche. Riscaldandoli entrambi a circa 1.300 gradi e sottoponendo il fluido alla pressione di un Giga Pascal (cioè diecimila atmosfere) e ad accelerazioni da 400 a 700 volte quella gravitazionale, è stato possibile misurare il movimento ascendente delle rocce basaltiche. Inoltre, è stato possibile calcolare il rapporto tra la porosità e la permeabilità della matrice di olivina; ed ecco quindi il risultato: quel rapporto è di 1,5 ordini di grandezza inferiore rispetto a quello previsto dai più accreditati modelli termo-meccanici e ciò significa che la velocità del magma lungo l’astenosfera è 1,5 ordini di grandezza maggiore di quella finora stimata e che l’attraversamento dell’intero “strato debole” ha richiesto tra i 1.000 e i 2.500 anni.
Le conseguenze sono di grande portata. Anzitutto chiariscono il senso di un indizio ben noto ai vulcanologi: il fatto che i vulcani siano attivi solo per alcune migliaia di anni. E poi ci sono tutte le conoscenze indirette che derivano dal vulcanismo. La lava infatti è un prezioso messaggero di informazioni sugli strati del sottosuolo inaccessibili all’indagine umana diretta: ebbene, se la velocità di risalita è elevata, vuol dire che il magma resta per meno tempo a contatto con le rocce che sta attraversando; di conseguenza, anche i segnali geochimici che porta con sé in superficie vanno letti in modo diverso. Si tratta di segnali che probabilmente descrivono qualcosa che si è verificato molto più in profondità di quanto non si pensasse.
(Michele Orioli)