L’avanzata dei robot nella nostra vita quotidiana sta subendo un’accelerazione. Ormai molte applicazioni robotiche stanno diventando consuetudini commerciali (si pensi ai robot aspirapolvere), ma da ogni angolo del pianeta giungono notizie di applicazioni o progetti sempre più smart e per i più diversi ambiti.
Partiamo da un settore leggero, come quello sportivo. È di questi giorni la dichiarazione di Andy Chang, responsabile dei sistemi di controllo robotici della multinazionale texana National Instruments, secondo cui «i robot umanoidi di oggi sono molto lenti e macchinosi, ma entro il 2030 i calciatori robotici vinceranno contro i campioni del mondo». Chang, parlando a Roma a margine di forum tecnologico organizzato dalla stessa società, ha detto che basterà migliorare e velocizzare gli algoritmi utilizzati, in quanto il problema non è tanto nella meccanica: «Il punto debole oggi è la loro lentezza, causata dai lunghi tempi necessari per elaborare la grande mole di dati necessari per determinare una decisione».
Il calcio giocato dai robot ha già il suo campionato mondiale, la RoboCup, come pure si è costituita la “lega umanoide”, nella quale robot con sembianze umane cooperano, in modo autonomo, tra di loro in una partita di calcio. Se gli informatici riusciranno a semplificare la programmazioni e a ridurre i tempi per l’integrazione con la parte meccanica, non ci vorrà molto per arrivare a un possibile confronto uomo-macchina.
Dal Giappone, invece, arrivano le solite applicazioni stravaganti. C’è un robot bianco e rosso, sviluppato da Hitachi, alto come un bambino di sei anni, pesante 14 kg e semovente su due ruote, che promette di aiutarvi a ritrovare gli oggetti smarriti. Se non trovate più dove avete lasciato gli occhiali, basta sguinzagliare Emiew2, così si chiama il prezioso aiutante, e il problema è risolto. Il robot ha un avanzato sistema di riconoscimento visuale e utilizza due videocamere come occhi per individuare oggetti e paragonarli con quelli inseriti nel suo database, che nel frattempo si arricchisce di immagini raccolte in Internet e memorizzate on line. Non è difficile prevedere che il suo utilizzo possa andare al di là del semplice lost and found.
Infine, dall’Europa un progetto che potrebbe modificare il volto di molti ambienti di lavoro. Più che un progetto è quello che si dice un concept, cioè un’idea già a un buon livello di sviluppo per la realizzazione di un sistema robotico che colmi il gap tra l’assemblaggio manuale dei componenti industriali e la produzione totalmente automatizzata. Il modello, che ha iniziato il suo percorso di perfezionamento fin dal 2007 nei centri R&D della Abb, si chiama Frida (Friendly robot industrial dual arm): è un robot a due braccia, a 7 assi ciascuno, e nasce per affrontare quelle situazioni dove robot e personale umano si trovano a operare “gomito a gomito”. Oltre a tutte le caratteristiche dei più avanzati robot industriali, Frida è particolarmente curato negli aspetti di sicurezza, agilità e precisione nei movimenti, flessibilità e facilità di riconfigurazione.
Una dimostrazione dei prototipi, visibile su un sito dedicato, mostra la sua capacità di adattarsi a un contesto misto uomini-macchine, la sua prontezza nell’evitare potenziali disagi ai “colleghi” umani, la sua agilità nei movimenti ultra snodati, che favorisce un’elevata produttività.
Tre esempi, fra i tanti, che segnalano un dinamismo della tecnologia. Al quale dovrebbe affiancarsi un analogo e più diffuso movimento di riflessione sulle implicazioni culturali, psicologiche, sociali inevitabilmente prodotte da questa familiarità spinta tra uomini e macchine. Ma sul versante riflessione c’è calma piatta.