Quando pensiamo al vincitore di un premio Nobel, facilmente lo immaginiamo come un giramondo che, nel caso di discipline scientifiche, ha abbandonato l’attività di ricerca quotidiana e si dedica ai tour di conferenze, a scrivere libri e intessere relazioni. In realtà non è così neppure per personaggi vincitori dell’ambito premio in tarda età: sono tanti gli esempi, anche nostrani, di come la passione per la ricerca non si fermi, non venga appagata neppure dal massimo dei riconoscimenti.
Tanto meno per chi, come il fisico Konstantin Novoselov (Kostya per amici e colleghi), è salito sul podio dell’Accademia delle Scienze di Stoccolma a soli 36 anni, nel dicembre 2010; per di più la scoperta, che ha condiviso con Andre Geim, riguardava un settore in grande ascesa e cioè quel grafene, il nuovo meraviglioso materiale costituito da un solo strato di atomi di carbonio disposti a nido d’ape e in grado di esibire proprietà sorprendenti.
Per catturare tali proprietà, Kostya non ha perso tempo ed è rimasto fedele a quanto aveva dichiarato nei giorni della vittoria del Nobel: aveva detto che non avrebbe fatto conferenze a go-go – anche se poi qualche invito l’ha accettato – e che sarebbe tornato subito al lavoro nel laboratorio dell’università di Manchester: e questo impegno l’ha mantenuto. Tanto che in questi giorni ha fatto ancora parlare di sé firmando due articoli, uno su Nature Materials e uno su Nano Letters.
Il primo, cofirmato anche da Geim, descrive una speciale tecnica per “affettare” il grafene ed esplorare la sua struttura; per poi scoprire che le impurità presenti nel sottile strato sono confinate in aree isolate e non dovrebbero influire sulle prestazioni dei dispositivi elettronici di prossima generazione, per i quali il grafene si presenta come risorsa ottimale.
La seconda ricerca, ancor più interessante, mette in evidenza una proprietà singolare di questo materiale: quella di auto riparare i buchi eventualmente prodotti nella sua impalpabile ma robustissima struttura. Per questo lavoro Novoselov si è spostato da Manchester a Daresbury, nel tranquillo Cheshire, dove è possibile utilizzare una sofisticata apparecchiatura che permette agli scienziati di analizzare le proprietà dei materiali studiandoli atomo per atomo: è il SuperSTEM Laboratory, dove STEM sta per Scanning Transmission Electron Microscopy ovvero scansione con microscopia elettronica a trasmissione.
In effetti il gruppo guidato da Kostya stava cercando di capire meglio le modalità con le quali il grafene interagisce con i metalli: una conoscenza fondamentale per poter integrare il nuovo materiale nelle apparecchiature elettroniche di domani. Le potenti capacità di indagine del SuperSTEM hanno però messo i ricercatori di fronte a uno strano fenomeno: inizialmente i metalli intaccavano i fogli di grafene creando dei buchi, che si sarebbero rivelati estremamente dannosi per le applicazioni; successivamente però lo stesso materiale si auto-riparava, ripristinando le strutture poligonali ordinate del materiale e riconsegnandogli le sue caratteristiche proprietà meccaniche ed elettroniche.
Sorpresi da quel comportamento, gli scienziati hanno ripetuto più volte l’analisi, ottenendo sempre delle conferme. Restava solo da capire il perché di quella insperato aggiustamento. Sempre le qualità strumentali del SuperSTEM, unitamente alla perspicacia dei nanoscienziati, hanno consentito di arrivare alla risposta: il grafene utilizza dei residui atomi di carbonio puro presenti sui bordi del buco e con questi “ricuce” la struttura corrotta.
La recente scoperta offre ora agli scienziati della materia non solo la possibilità di entrare dentro il grafene in modo controllato e “lavorarlo” a livello atomico, ma anche di farlo crescere assumendo nuove configurazioni e nuove forme. Ciò comporta una notevole flessibilità applicativa e amplia le potenzialità delle nanotecnologie basate sul grafene, prospettando interessanti applicazioni “su misura” soprattutto in campo elettronico e nelle scienze biomediche.