Se l’obiettivo degli organizzatori della mostra “Brain. Il cervello: istruzioni per l’uso” – allestita dal 18 ottobre al 13 aprile prossimo presso il Museo Civico di Storia Naturale di Milano – era di sollevare interrogativi su questo affascinante e misterioso fenomeno che è il cervello umano, si può ben dire che ci sono riusciti.
In effetti già una serie di domande vengono poste esplicitamente nello svolgersi del percorso espositivo che, nelle sette sezioni in cui si articola, ai vistosi pannelli colorati con i testi descrittivi ed esplicativi (che per un inspiegabile abbinamento di colori spesso risultano parzialmente leggibili) alterna altre parti con installazioni anatomo-artistiche e alcune postazioni interattive sulle quali si cimentano ludicamente soprattutto i più giovani.
Tre le domande ci sono quelle più note, come quelle relative all’intelligenza e alla sua eventuale collocazione in qualche parte del cervello. O quella circa il dilemma, in realtà facilmente superabile, se le nostre abilità cognitive sono tali ‘per natura’, cioè sono scritte nel nostro genoma, oppure sono l’esito di un processo educativo (in inglese è la questione Nature vs Nurture). O ancora: come il nostro cervello crea e recupera i diversi tipi di ricordi? E qui viene detto molto chiaramente che “noi non ‘registriamo’ le esperienze che facciamo come se fossero un programma televisivo. Dimentichiamo la maggior parte delle cose (…). Ci sono anche dei vantaggi però nello scordare: il nostro cervello si è evoluto per evocare ricordi legati a ciò che accade nel presente, non per sommergerci di dettagli a caso”.
Ci sono anche domande meno abituali e con risposte non scontate. Come quelle che riguardano gli aspetti emotivi. È proprio vero che le emozioni sfavoriscono le nostre operazioni mentali più impegnative, quelle che richiederebbero più rigore? La risposta è, inaspettatamente, no. La mostra porta l’esempio del nostro rapporto con i soldi a conferma che “le persone spesso sono influenzate dalle connessioni emotive del loro cervello, anche quando si tratta di qualcosa di freddo e arido come il denaro”.
Analogamente, e in modo ancor più controcorrente, si dovrebbe dire per la ricerca scientifica: è vero che per conoscere la realtà naturale bisogna affrontarla in modo distaccato, che la passione e l’affezione all’oggetto studiato ne ostacolano la comprensione? No, dovrebbero dire se interpellati i curatori della mostra e cioè Rob DeSalle, dall’American Museum of Natural History di New York, Joy Hirsch, della Columbia University e Margaret Zellner, della Rockefeller University
Tra l’altro, questo medesima conclusione si dovrebbe applicare alla mostra stessa e al suo contenuto scientifico, che fin dalla prima stanza viene proposto con effetti di grande impatto emozionale: il visitatore infatti inizia il percorso imbattendosi in un cervello umano conservato per poi passare attraverso un’installazione che simula l’attività dei neuroni con un sistema luminoso di quasi settecento chili di fili elettrici appesi a una struttura che si estende per oltre dieci metri.
Altre domande sono implicite o soltanto indotte nel visitatore. Seguendo la sezione che porta alla postazione interattiva dove possiamo ‘costruire’ un cervello combinando le parti che presiedono alle sue funzioni principali, ci troviamo di fronte a un approccio evolutivo, con tanto di immancabile ritratto di un barbuto e austero Charles Darwin: viene mostrato il cervello in evoluzione mettendo a confronto parti di quello umano rispetto a quello delle lucertole, dei mammiferi e dei primati; come dire che il cervello umano è il risultato di un cammino che ha attraversato le tre fasi precedenti per arrivare alla situazione attuale.
Poi però, appena girato l’angolo ed entrati nella stanza successiva ci troviamo nell’area delle attività cognitive che inizia con la giusta osservazione che “se c’è una cosa che ci rende diversi dagli altri animali è la nostra capacità di pensare”. Qui è difficile dire a quale antenato corrispondano le capacità di pensare, memorizzare, immaginare, ragionare. Forse non si è trattato, arrivando all’uomo, di una semplice aggiunta (casuale) di qualche componente che ha trasformato un primate in un Homo, in grado di pensare fino al punto di…pensare il pensiero. Forse è accaduto qualcosa che ha immesso sulla scena del mondo questo essere speciale che riesce ad essere consapevole di essere tale.
All’aumentare delle nostre conoscenze sui meccanismi cerebrali, ci si accorge che le domande più interessanti non sono quelle relative ai meccanismi in sé ma quelle che riguardano aspetti della nostra attività cosciente che non possono essere ricondotti riduttivamente a quei meccanismi. Insomma, l’invito è ad andare oltre il titolo (Brain) della mostra. Peccato che l’ultimo pannello proponga di “mettere alla prova il cervello” esibendo immagini di formule matematiche e schemi scientifici: come se la soluzione di problemi scientifici fosse solo una questione di “cervello”.