Il tema dei cambiamenti climatici è tra i più discussi sia nel mondo scientifico che nell’opinione pubblica; in particolare desta preoccupazione l’impatto antropico che risulta essere in grado di modificare e influenzare lo stato del clima.
A partire dalla rivoluzione industriale, dati sperimentali registrano un aumento dei gas serra in atmosfera così come un incremento della temperatura media a scala globale. Tali andamenti suscitano una grande attenzione per le conseguenze che possono avere sugli ecosistemi marini e terrestri che determinano la vita sulla terra.
Eppure, se da un lato il rispetto per l’ambiente, l’attenzione alla corretta gestione delle risorse, la mitigazione dell’impatto antropico sono tenuti in grande considerazione, dall’altro rimane molto problematico stilare linee guida per stabilire, a scala globale, quali misure intraprendere per evitare situazioni che potrebbero anche essere critiche per la sussistenza del genere umano. In questo contesto risultano fondamentali le ricerche di base indirizzate alla caratterizzazione dell’evoluzione climatica naturale – in assenza di qualsiasi perturbazione ad opera dell’uomo – e alla conoscenza della struttura e delle dinamiche degli ecosistemi.
Per comprendere gli attuali mutamenti del clima, per discriminare quanta parte di essi è indotta dall’attività dell’uomo e prevedere quali saranno gli scenari futuri occorre conoscere quali sono le leggi e i tempi della variabilità climatica del passato (paleoclima).
Per intervalli di tempo molto antichi, in assenza di documentazione bibliografica e metereologica strumentale, i paleoclimatologi utilizzano i “proxies” ovvero degli indicatori climatici e ambientali. I più utilizzati sono microscopici organismi unicellulari che vivono nel mare e nell’oceano a diverse latitudini spingendosi anche in ambienti estremi quali gli ambienti polari che presentano il grande vantaggio di conservarsi allo stato fossile.
Le loro conchiglie o gusci sono tanti piccoli scrigni in cui è racchiuso il clima del periodo in cui sono vissuti in quanto la loro presenza, tipologia e composizione chimica del guscio è strettamente correlato con le variazioni chimico- fisiche (temperatura, salinità, pH) dello strato d’acqua che costituiva il loro habitat. Le indagini su questi organismi hanno documentato che il clima del nostro pianeta è cambiato, fin dalle sue origini, con tempi e modalità diverse.
Agli albori, l’atmosfera era completamente priva di ossigeno (O2) ed estremamente arricchita in biossido di carbonio (CO2) e idrogeno (H2) rilasciati dell’intensa attività vulcanica che dominava sulla superficie terrestre causando un notevole effetto serra. La Terra nel corso della sua storia ha attraversato periodi di grande freddo (Snowball Earth, circa 600 milioni di anni fa) alternati a periodi di greenhouse (durante il Cretaceo, tra 145 e 65 milioni di anni fa); ci sono state oscillazioni regolari e cicliche in relazione alle variazioni dei parametri astronomici (eccentricità obliquità e precessione, cicli di Milankovitch), mentre altre sono state rapide ed improvvise (a scala millenaria) caratterizzate da riscaldamento rapido e graduale raffreddamento (Dansgaard-Oeschger events) provocando il distacco di iceberg dalle calotte polari (Heinrich events).
Solo circa 3 milioni di anni fa si è instaurato un regime climatico con l’alternanza di periodi glaciali e interglaciali.
Attualmente viviamo in un interglaciale noto come Olocene iniziato circa 11.500 anni fa che, in base all’andamento degli ultimi tre cicli interglaciali, dovrebbe portare ad una glaciazione, in contrasto con il famoso Global Warming imputato all’incremento di CO2 di provenienza antropica. Le ricerche sul passato hanno documentato che ci sono incongruenze nel legame di causa-effetto tra variazioni di CO2 e variazioni di temperatura ovvero alle stesse emissioni di CO2 non sempre corrisponde un riscaldamento.
Gli studi paleoclimatici in ambiente oceanico, che copre la maggior parte della superficie del nostro Pianeta, si focalizzano su fasi climatiche calde associate a diversi tenori di CO2 atmosferica studiando le risposte degli ecosistemi per riuscire a comprenderne le connessioni.
Indagini interdisciplinari hanno messo in evidenza come il ciclo biogeochimico del carbonio rivesta un ruolo fondamentale nei complessi equilibri tra oceano e atmosfera. L’attività degli organismi fotosintetici che vivono all’interfaccia oceano-atmosfera regolano gli scambi del carbonio da e verso l’atmosfera (l’oceano è in grado di assorbire e rilasciare grandi quantità di CO2) come risulta molto evidente nell’oceano meridionale grazie alle basse temperature che favoriscono i processi di assorbimento dei gas atmosferici.
Allo stesso tempo occorre tener presente che l’aumento di CO2 in atmosfera incrementa gli scambi con l’oceano comportando un aumento della concentrazione di CO2 disciolta nelle acque superficiali marine, con una conseguente diminuzione del pH.
L’insieme di queste variazioni nella chimica dell’oceano determina l’aumento di acidità degli oceani, ovvero influenza i processi di biomineralizzazione delle strutture carbonatiche di molti organismi marini costituiti di carbonato (coralli ecc.) per i quali diventa difficile costruire e mantenere le strutture vitali con conseguenze sull’ ecosistema e sulla catena trofica. In sintesi, lo studio degli ecosistemi marini del passato documentano come il clima non possa essere ridotto alle variazioni di un solo parametro, è riduttivo pensare alla CO2 o all’uomo come gli unici attori delle anomalie climatiche o del global warming.
La complessità degli studi climatici che i ricercatori riscontrano risiede proprio nel fatto che la variabilità del clima terrestre è il risultato di complesse interazioni tra atmosfera, biosfera e idrosfera e si manifesta su un ampio spettro di scale temporali e areali.
Le previsioni delle variazioni climatiche a lungo termine per formulare i possibili scenari futuri si basano su simulazioni numeriche e studi teorici (modelli) di diversa complessità e realismo, da semplici modelli lineari a più completi modelli accoppiati atmosfera-oceano, ma risultano essere una semplificazione della realtà, devono essere ancora perfezionati considerando le innumerevoli variabili in gioco e le diverse scale temporali su cui la variabilità climatica opera.
Per questo i recenti modelli numerici vengono sempre più implementati tenendo conto di molteplici componenti quali atmosfera, oceano, ghiaccio marino, ecosistema e vegetazione ovvero di tutte quelle relazioni che gli studi degli archivi geologici e il monitoraggio ambientale mettono in evidenza.