Chi ha potuto visitare al Meeting di Rimini la mostra curata da Euresis “Naturale, artificiale, coltivato. L’antico dialogo dell’uomo con la natura” sarà rimasto colpito, tra le altre cose, da una attitudine sviluppata da nostri progenitori a coltivare piante che potessero consentire loro di stabilire un regime alimentare secondo una dieta che oggi diremmo “equilibrata”. Ecco ad esempio che, ovunque è nata l’agricoltura, gli antichi contadini hanno sempre domesticato e coltivato un “pacchetto” di piante per garantire l’abbinamento cereali-leguminose, abbinamento che oggi sappiamo essere fondamentale per l’uomo dato che il valore nutrizionale delle proteine dei cereali si riequilibra con le leguminose.
Abbiamo avuto quindi: il quartetto della Mezzaluna fertile, con orzo, frumento, piselli e lenticchie; il duetto cinese, con riso o miglio e soia; il terzetto messicano col mais e i fagioli e in aggiunta le zucche che potevano anche servire, svuotate, come borse da viaggio o contenitori di acqua. Erano abbinamenti efficaci anche dal punto di vista agronomico in quanto le diverse specie venivano coltivate insieme nello stesso campo e si poteva sfruttare il fatto che le leguminose, fissando l’azoto atmosferico, fertilizzavano il terreno.
Sono esempi di come l’uomo ha interagito con l’ambiente in modo “umano”, lasciando l’impronta di una originalità, una peculiarità e una complessità che lo distinguono dagli altri viventi. Una analoga reazione si può provare leggendo i risultati di una ricerca appena pubblicata su PLoS ONE, guidata da Hayley Saul, del centro di ricerca Bioarch presso l’Università di York (UK) e che ha coinvolto anche scienziati del Institució Catalana de Recerca i Estudis Avançats di Barcellona, dell’Istituto di archeologia preistorica e protostorica di Kiel (Germania) e dell’Agenzia danese per la Cultura di Copenhagen.
Gli archeologi di York e gli altri colleghi europei hanno trovato quelle che ritengono delle prove dell’uso di spezie nella cucina dei nostri antenati vissuti nel periodo corrispondente al grande fenomeno della transizione verso l’agricoltura. Sui resti carbonizzati di ceramiche e terracotte risalenti a oltre 6.000 anni fa sono state rinvenute tracce di Alliaria (Alliaria petiolata): una pianta della famiglia delle Brassicaceae, dal deciso odore di aglio e con i semi simili a quelli di senape (la denominazione inglese è infatti Garlic Mustard).
Attraverso l’analisi di microfossili in depositi di cibo carbonizzato su vasellame trovato in siti in Danimarca e in Germania, sono stati scoperti i resti fossilizzati di Alliaria insieme a residui di animali terrestri e pesci. Il vasellame è databile nel periodo corrispondente al passaggio Mesolitico-Neolitico quando i nostri avi da cacciatori-raccoglitori stavano diventando agricoltori e imparavano a domesticare e coltivare molte specie adattandole alle loro esigenze alimentari.
In precedenza per questo tipo di ricerche – indirizzate a verificare l’uso delle spezie nella cucina preistorica – erano stati analizzati gli amidi, che sopravvivono bene in residui carbonizzati e non carbonizzati. Le nuove ricerche, come viene descritto nell’articolo “Phytoliths in Pottery Reveal the Use of Spice in European Prehistoric Cuisine”, fanno capire che il recupero di fitoliti (depositi di silicati da piante) offre la ulteriore possibilità di identificare materiale legnoso o fogliame e risalire ai semi usati come spezie, non rilevabili con l’analisi di amidi; i fitoliti carbonizzati da cucina sono più resistenti alla distruzione.
La ricerca delle spezie, che tanta parte ha avuto nella storia mondiale dopo la scoperta dell’America e dopo i viaggi in India di Vasco de Gama, affonda quindi le sue radici in pratiche di cucina già diffuse nell’Europa neolitica e già documentate da occasionali ritrovamenti di semi di papavero da oppio e erbe aromatiche come l’aneto distribuite dall’Europa orientale fino all’Atlantico già 5.000 anni fa. Ma sia su questa data che sulle motivazioni dell’utilizzo, le scoperte del gruppo di York gettano nuova luce.
Come ha dichiarato lo stesso Hayley Saul: «La visione tradizionale è che l’utilizzo delle piante nel neolitico e pre-neolitico e il motivo della loro coltivazione, è stato guidato principalmente dal fabbisogno energetico piuttosto che da esigenze di gusto. Dato che l’Alliaria ha un sapore molto forte ma poco valore nutritivo, e che i fitoliti si trovano in vasi con residui di animali terrestri e marini, possiamo dire che i nostri risultati sono la prima prova diretta di una speziatura del cibo nella cucina preistorica europea. I nostri ritrovamenti suggeriscono di retrodatare l’inizio della speziatura degli alimenti in questa regione rispetto a quanto emergeva dalla documentazione dei macrofossili; contestano inoltre la tesi che le piante siano state sfruttate dai cacciatori-raccoglitori e dai primi coltivatori esclusivamente per il fabbisogno energetico, piuttosto che il gusto».