Il termine logaritmo è entrato nell’universo delle matematiche quattro secoli fa e da allora non ha smesso di trovare applicazioni e utilizzi nei campi più disparati, suscitando curiosità e spesso sorprendendo gli stessi studiosi. La parola è la fusione dei vocaboli greci lògos, cioè discorso, ragione, e arithmos, cioè numero, quindi sembrerebbe avere un significato molto impegnativo come “numero della ragione” o qualcosa del genere; in effetti l’etimologia non aiuta molto a comprenderne il significato che risulta invece molto chiaro dalla ben nota definizione: “Il logaritmo di un numero in una certa base è l’esponente che bisogna dare alla base per ottenere il numero”. Ad introdurlo è stato nel 1614 il matematico e teologo scozzese John Napier (italianizzato in Giovanni Nepero), che stava studiando i numeri e si stava occupando di trovare soluzioni che facilitassero i calcoli più complessi. Che cosa ha spinto Nepero a inventare i logaritmi?
L’idea centrale deriva dalla possibilità di poter trasformare un prodotto in una somma; una possibilità già presente in qualche caso ben conosciuto dai matematici dell’epoca e che chiunque può ritrovare nei ricordi delle scuole medie: basta ripensare al prodotto di due potenze, che si ottiene sommando gli esponenti. Al tempo di Nepero era soprattutto la trigonometria che stava mostrando questa possibilità, sfornando formule e dimostrazioni dove somme e sottrazioni si alternano alle moltiplicazioni. Il matematico scozzese era rimasto colpito da alcune di queste formule e aveva rielaborato quei concetti arrivando alla costruzione dei logaritmi descritti in un testo intitolato Mirifici logarithmorum canonis descriptio (Descrizione della regola meravigliosa dei logaritmi). Ma anche il logaritmo, come molte invenzioni, non ha una sola paternità. Nel 1620 l’orologiaio svizzero Jobst Bürgi pubblicò i suoi risultati sui logaritmi dei quali sembra aver scoperto il concetto nel 1588, ben prima di Nepero. Evidentemente qualcosa era nell’aria e anche se a quel tempo la circolazione delle conoscenze non era così agevole e diffusa come oggi, i cultori della materia si trovavano facilmente ad operare su concetti simili e ad affrontare gli stessi problemi.
I documenti disponibili comunque non consentono di retrodatare la scoperta, perciò nella storia della matematica il titolo di artefice dei logaritmi resta saldamente a carico di Nepero. Anche lui ha però ha subito qualche penalizzazione storica. Infatti, calcolando i logaritmi con diverse basi, Nepero era arrivato a prendere in considerazione quello che oggi è uno dei numeri più importanti della matematica e della fisica: il numero “e” (numero irrazionale trascendente il cui valore è 2,718 … e i puntini indicano che non c’è limite alle cifre dopo la virgola). Ebbene, quel numero a volte viene detto numero di Nepero ma più spesso numero di Eulero in quanto si deve al grande matematico svizzero Leonhard Euler il primo utilizzo della lettera “e” e le prime applicazioni nella Mechanica, oltre un secolo dopo Nepero.
E la diffusione dell’invenzione del matematico scozzese sarebbe stata forse meno imponente se non ci fosse stato Henry Brigss, professore di geometria all’Università di Oxford, che dopo aver discusso a lungo con Nepero lo convinse a considerare come base dei logaritmi il numero 10, semplificando notevolmente il calcolo. Briggs si impegnò anche a calcolare una tavola di logaritmi in base 10 e negli anni seguenti pubblicò numerose tabelle con i logaritmi dapprima degli interi da 1 a 1.000, poi sino a 100.000 calcolati con 14 cifre decimali. Oggi peraltro i computer hanno reso inutili i particolari meccanismi di calcolo e le “Tavole” che tutti gli studenti dell’epoca pre-calcolatrice hanno imparato a consultare e ad utilizzare. Il 10 non è comunque il numero più comodo per calcolare i logaritmi e ben presto si è capito che la base più adatta era proprio il numero “e”: quelli in base “e” sono detti “logaritmi naturali”. Da allora la carriera del logaritmo è stata fulminante.
Ci sono stati subito sviluppi e applicazioni in campo scientifico e in campo pratico e col tempo i logaritmi sono entrati in discipline anche lontane tra loro: dalla finanza all’astronomia, dalla chimica alla biologia. Basterà citare la crescita dei batteri, il decadimento radioattivo, la magnitudine stellare assoluta, il valore del pH delle soluzioni e tante altre definizioni e calcoli dove non si può fare a meno dei logaritmi. Che sono entrati ovviamente anche nel mondo dell’ingegneria dove si sono “materializzati” in quello che, sempre nell’era pre-computer, era lo strumento principe degli ingegneri: il regolo calcolatore. è stato un pastore anglicano, William Oughtred, a idearlo nel 1622, sfruttando la proprietà chiave della trasformazione del prodotto in somma e il vantaggio della scala logaritmica, dove la distanza dall’inizio di ciascun numero è proporzionale al suo logaritmo in base 10 e ciò si ripete ad ogni decade.
Al di là del regolo, le scale logaritmiche hanno un’enorme gamma di applicazioni, grazie alla loro prerogativa di ridurre lo spazio: quando si devono riportare su un asse valori in un range molto ampio, basta prendere il loro logaritmo per riuscire ad addensare con sei tacche valori fino a un milione. Sono stati, per il logaritmo, quattro secoli di intenso lavoro. Ma non c’è stata solo l’aridità delle “tavole” e la meccanicità dei calcoli: c’è posto anche per l’armonia e l’eleganza, come quella evidente nella spirale logaritmica, che tutti abbiamo ammirato, forse senza saperne il nome, in certe forme viventi, come la conchiglia del Nautilus, o in certe immagini astronomiche di galassie a spirale. Un inizio in “bellezza”, di buon auspicio per questo “anno del logaritmo”.