È difficile, al termine di un anno così interessante per la ricerca scientifica, sottrarsi alla tentazione di stilare delle classifiche; e infatti i principali media non se ne sottraggono: dai grandi magazine, ai siti specializzati, ai numerosi blog. Tra le varie retrospettive sull’anno di scienza che si sta concludendo, la prima attenzione va focalizzata anzitutto sulle persone; sono gli uomini che fanno la scienza e guardare agli uomini di scienza in azione è il modo migliore per capire cos’è la scienza e per cogliere meglio anche la portata e il valore delle singole leggi e teorie.
Ai protagonisti delle avventure scientifiche di quest’anno ha pensato la rivista Nature, che ha presentato la sua Top Ten, cioè i profili dei dieci scienziati che meritano una citazione speciale. E il primo della lista è un 44enne italiano, Andrea Accomazzo, che tutto il mondo ha visto autorevolmente “al comando” delle missione Rosetta nella recente impresa dello sbarco sulla cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko.
Certo, tutti abbiamo partecipato anche emotivamente a quelle giornate che hanno preceduto e seguito il primo storico contatto diretto di un manufatto umano con una cometa; ma ciò che è avvenuto in quei delicati momenti è stato accuratamente preparato per diciotto anni. Di Accomazzo abbiamo potuto ammirare la prontezza e la capacità decisionale nei momenti in cui si doveva dare il via per svolgere tempestivamente alcune operazioni programmate superando gli imprevisti che avevano un po’ modificato lo scenario nel quale la sonda, ma soprattutto il lander Philae, si trovava ad operare. Non abbiamo visto però tutto il paziente lavoro preparatorio: la scelta e la realizzazione ottimale della strumentazione, la pianificazione del programma di volo, le ripetute simulazioni delle attività da condurre sulla superficie cometaria, l’attesa del “risveglio” di Rosetta dopo i tre anni di ibernazione…
Di tutta quella lenta e puntuale attività Accomazzo si dichiara soddisfatto, così come del risultato tecnico della missione, cioè di essere riuscito a far atterrare Philae a solo un centinaio di metri dal centro della zona prestabilita dopo un viaggio di oltre sei miliardi di chilometri. È in questo mix di realistica obbedienza alle leggi della natura, di audacia nell’immaginare di sfidare le situazioni più estreme e di rapidità nel prendere decisioni critiche che si gioca un’esperienza anche umanamente entusiasmante. Ed è con questo stesso approccio che si accinge a seguire i prossimi voli, in qualità di responsabile della divisione Solar and Planetary Missions dell’Esa (Agenzia Spaziale Europea): a cominciare dalla missione intitolata a un altro italiano, Bepi Colombo, che raggiungerà Mercurio fra due anni. Ma sarà difficile – confessa a Nature – dimenticare Rosetta.
Nella lista di Nature spicca anche un altro nominativo degno di attenzione: è quello della giovane matematica di origine iraniana Maryam Mirzakhani, la prima donna a vincere la Medaglia Fields (il premio istituito dall’International Mathematical Union nel 1936, equiparato a un Nobel per la matematica e assegnato ogni quattro anni a uno studioso al di sotto dei 40 anni).
Miriam ha vinto per uno studio pubblicato nel 2012 su un argomento inerente alle geometrie non euclidee e in particolare alla geometria iperbolica, quella in cui le rette parallele a una retta data e passanti per un punto sono almeno due. La giovane studiosa, che ora è Assistant Professor alla Stanford University, è arrivata al risultato in modo brillante, anche se difficile da rendere “popolare”; un modo che testimonia tutta la sua passione per la matematica che le permette di “vedere” quello che altri non vedono. Peccato che la grande attenzione che ha ricevuto dai media in questi mesi, e che l’ha portata fin sulle pagine patinate delle rivista di moda Elle, si sia concentrata unicamente sul fatto, peraltro non irrilevante, che si tratti del primo riconoscimento di questo tipo assegnato a una matematica.
Per la cronaca, gli altri otto posti in questa speciale Top Ten sono occupati da: Suzanne Topalian, oncologa; l’indiana, ora al MIT, Radhika Nagpal, ingegnere robotico; il medico Sheik Humarr Khan, vittima dell’Ebola; l’astrofisico David Spergel; Pete Frates, impegnato nella lotta alla SLA; Koppillil Radhakrishnan, ingegnere dall’Agenzia Spaziale Indiana ISRO; l’oftalmologa giapponese Masayo Takahashi; il biologo molecolare Sjors Scheres.