Non poteva che iniziare col ricordo di Angioletta Coradini il workshop “Scenario e Prospettive delle Scienze Planetarie in Italia” che si sta svolgendo presso la sede dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) di Roma: l’evento, organizzato in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) – Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) intende fare il punto della situazione sulle attività di ricerca nell’ambito del Sistema Solare e sulle prospettive di medio e lungo termine; e in tutto questo il contributo della Coradini è stata fondamentale, come ha mostrato ieri Fabrizio Capaccioni, uno dei suoi più stretti collaboratori e che le è subentrato alla guida di alcuni programmi di ricerca. Il sussidiario.net ha incontrato Capaccioni durante il convegno.
Come si è sviluppato il contributo italiano alla planetologia?
La planetologia si è sviluppata in modo rilevante in Italia nei primi anni ottanta. Il passaggio, al quale Angioletta Coradini ha dato un impulso particolare, col quale è avvenuta la maggior espansione delle attività, soprattutto per il gruppo di Roma, è avvenuto con la partecipazione diretta alle missioni spaziali attraverso la realizzazione di strumenti e apparecchiature e non solo con i contributi scientifici in senso stretto. L’idea, giusta, era che realizzare strumenti dà una capacità di guida e di controllo anche di tutte le attività svolte nell’ambito della missione e può dare accesso prioritario ai dati scientifici, oltre che far crescere e qualificare le potenzialità tecnologiche del nostro Paese. Ci siamo mossi in questa direzione ed ora siamo presenti, con ruoli prioritari anche di PI (Principal Investigator), in tutte le missioni dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea) e in molte missioni della Nasa e continuamente viene richiesta la nostra partecipazione a nuove missioni.
Quali sono le tematiche scientifiche principali che state affrontando?
I temi principali, che fanno da collante dei vari programmi di ricerca dei diversi gruppi italiani, sono quelli tipici della planetologia odierna: la formazione del Sistema Solare; la planetologia comparata, quindi lo studio delle correlazioni tra vari pianeti, compreso lo studio della Terra vista come uno dei pianeti; e poi le ricerche legate alla presenza di acqua, che è l’elemento che lega la planetologia all’astrobiologia, cioè la ricerca di forme di vita al di fuori della Terra. Naturalmente, un importante oggetto di studio è il Sole stesso, con tutti gli aspetti collegati, dal vento solare alle influenze sul clima terrestre. Infine c’è quel filone di indagini che sta assumendo sempre più rilevanza e riguarda la ricerca dei pianeti extrasolari o esopianeti. Tutte queste ricerche avvengono partecipando alle diverse missioni spaziali europee e internazionali.
Quali sono le missioni più impegnative attualmente in corso?
Possiamo dire che le più ambiziose sono: per quanto riguarda l’ESA, la missione Rosetta che nel prossimo autunno avrà un incontro ravvicinato con la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko: mentre per la Nasa, direi la missione Cassini che ha come scopo lo studio di Saturno e del suo sistema di satelliti ed anelli con particolare riguardo al satellite Titano. In entrambi i casi l’Italia partecipa con un ruolo rilevante. Su Rosetta ci sono due strumenti con italiani come PI: sull’orbiter c’è VIRTIS (Visual InfraRed and Thermal Imaging Spectrometer), per il quale dopo la scomparsa della Coradini ho assunto la funzione di PI; e c’è GIADA (Grain Impact Analyser and Dust Accumulator) il cui PI è Alessandra Rotundi dell’Università “Parthenope” di Napoli. C’è anche la WAC (Wide Angle Camera), del professor Cesare Barbieri dell’università di Padova, che fa parte di OSIRIS lo strumento principale della missione per la raccolta delle immagini della cometa.
E su Cassini?
Anche questa è una missione molto ambiziosa, giunta al quattordicesimo anno di vita operativa, con 11 strumenti a bordo: in accordo con la NASA, l’Italia ha sviluppato l’antenna ad alto guadagno con incorporata un’antenna a basso guadagno (che assicurano le telecomunicazioni con la Terra), lo spettrometro VIMS, il sottosistema di radioscienza (RSIS) e il Radar. Quest’ultimo ha permesso di osservare la superficie di Titano, forando il denso strato di nubi che lo ricopre. La RSIS ha ottenuto significativi risultati osservando Encelado, un satellite di Saturno che mostra dei gayser nel polo Sud quindi una sorprendente attività vulcanica con espulsione di gas misti a grani di ghiaccio: misurando l’effetto gravitazionale di Encelado su Cassini in orbita attorno a Saturno, si è determinata la presenza di un oceano di grandi dimensioni alcuni chilometri sotto la superficie del satellite.
Torniamo a Rosetta. Ci parli del suo strumento, Virtis.
La missione Rosetta si è già distinta per i fly-by (cioè l’affiancamento) di due asteroidi: Steins (2008) e Lutetia (2010). Ma il punto culminante del suo volo sarà quando si avvicinerà a poche decine di chilometri alla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, per fare osservazioni dettagliate della superficie con strumenti italiani come il nostro spettrometro. VIRTIS è diviso in due parti: un primo spettrometro a immagine dedicato allo studio del nucleo e un secondo ad alta risoluzione, per l’identificazione delle molecole nella chioma. Tra gli obiettivi di VIRTIS c’è la mappatura della composizione del nucleo, dove verranno analizzate le abbondanze dei ghiacci (di acqua ma anche di anidride carbonica) e dei composti organici (metanolo, metano, etano ecc.). Poiché VIRTIS è anche sensibile alla radiazione termica potremo anche misurare la temperatura della superficie, realizzando delle mappe delle proprietà termiche, particolarmente preziose per investigare gli strati sub superficiali del nucleo cometario. Per quanto riguarda la coda della cometa, VIRTIS permetterà di studiare la composizione delle molecole e dei grani di polvere trasportati dai gas nel processo di espulsione dal nucleo ed i processi dinamici presenti all’interno di questa esosfera.
Qual è la tempistica dell’avvicinamento a Rosetta?
Dalla seconda metà di luglio inizierà l’osservazione per la mappatura di tutta la superficie; per poi arrivare a metà novembre al momento più emozionante: all’atterraggio del lander Philae sulla superficie della cometa. Anche Philae ha una parte italiana che è il drill, il trapano che permetterà di perforare per 30 cm la superficie cometaria , raccogliere campione e distribuirli agli altri strumenti di analisi. Le mappe di composizione e temperatura di cui ho parlato verranno anche usate per ottimizzare la scelta del sito di atterraggio del lander.
Agli occhi dell’opinione pubblica sembra che la vostra attenzione principale sia rivolta agli esopianeti più che al nostro sistema solare: è così?
Posso dire che le due cose vanno di pari passo. Finora ci siamo confrontati col nostro sistema solare, che è uno e particolare. Ora abbiamo anche la possibilità di studiare una grande varietà di sistemi extrasolari intorno ad altre stelle. Al momento, una buona parte delle ricerche è indirizzata a capire come si forma un sistema solare come il nostro; per questo servono sia le analisi sugli altri sistemi sia gli studi più dettagliati del nostro. Missioni come Rosetta, ma anche altre, sono fondamentali per avanzare nelle conoscenze circa la formazione di un sistema solare; e le ultime scoperte su alcuni satelliti dei nostri pianeti giganti ci fanno capire che c’è ancora molto da studiare all’interno del sistema. D’altra parte, circa i sistemi extrasolari, c’è uno stretto collegamento con le ricerche di astrofisica: i sistemi solari sono un “sottoprodotto” della formazione stellare, quindi studiando la nascita e l’evoluzione delle stelle si arriva ben presto esplorare i meccanismi di formazione planetaria.