Le scogliere coralline sono formate dalla crescita di madrepore a scheletro calcareo che, sviluppandosi le une sulle altre, sono in grado di costituire strutture di notevole rilevanza geologica come gli atolli dell’indopacifico, la grande barriera australiana e le scogliere caraibiche. La temperatura dell’acqua gioca un ruolo essenziale nella crescita di queste biocostruzioni che sono pertanto confinate alla fascia intertropicale, generalmente sui bordi occidentali dei continenti.
Negli ultimi 30 anni sono state identificate una lunga serie di cause responsabili di fenomeni più o meno intensi di riduzione delle scogliere. Molte malattie, per le quali talvolta l’agente patogeno è stato identificato, hanno infestato i coralli caraibici decimandone i banchi. Il famigerato bleaching, l’espulsione delle alghe simbionti che forniscono nutrimento ai coralli, probabilmente causato da un aumento della temperatura dell’acqua, ha provocato mortalità nei coralli di tutto il mondo con effetti particolarmente drammatici nell’area delle Maldive. Anche l’azione diretta dell’uomo è stata responsabile di sensibili arretramenti di questi ecosistemi unici. Al di là degli effluenti urbani e industriali che distruggono le formazioni coralline di fronte alle grandi città delle tigri asiatiche in tumultuosa e disordinata crescita, la pesca condotta con metodi illegali come esplosivi e cianuro ha causato estese distruzioni.
Anche le interazioni biologiche, come la predazione, hanno fatto la loro parte. La grande stella di mare spinosa Acanthaster planci che digerisce i polipi corallini lambendoli con il proprio stomaco estroflesso, talvolta si riproduce in tale quantità da distruggere ettari di scogliere nell’Oceano Pacifico. Molte associazioni ambientalistiche sono più volte pesantemente intervenute con campagne di raccolta e distruzione di stelle di mare.
I dati recentemente pubblicati riguardanti Status and Trends of Caribbean Coral Reefs: 1970–2012 suggeriscono scenari particolarmente inquietanti: con l’attuale ritmo di distruzione, i grandi banchi dei Caraibi, dalle Bahamas alle Florida keys ai reef cubani, potrebbero completamente scomparire nei prossimi venti anni.
Il report attribuisce la catastrofe, che ha ridotto le scogliere caraibiche a un sesto della loro estensione originale, a una drammatica riduzione di organismi brucatori di alghe: i ricci di mare e i pesci pappagallo. I primi hanno subito una drammatica mortalità, probabilmente dovuta a un agente patogeno, negli anni ’80 e non sono mai più ritornati sui livelli pre-crisi. I secondi sono stati decimati dalla sovrappresca. Il risultato è un aumento incontrollato delle alghe che tendono a soffocare le madrepore portandole rapidamente alla morte.
Cosa ci hanno insegnato questi eventi così eclatanti e drammatici?
Innanzitutto hanno da un lato spazzato via e dall’altro confermato alcune idee che gli ecologi si erano fatte. Il postulato che gli ecosistemi più complessi e diversificati siano anche i più stabili e resistenti non sembra reggere di fronte ai dati. Le scogliere coralline sono, assieme alle foreste pluviali, gli ecosistemi più ricchi di specie al mondo e nonostante ciò sembrano estremamente sensibili sia a cambiamenti chimico-fisici dell’ambiente, sia a interazioni biologiche, sia ad attività umane. D’altra parte alcune sequenze di eventi che seguono uno schema rigido di causa-effetto (- ricci = + alghe = – coralli) sembrano esempi estratti da un libro di ecologia e confermano le previsioni formulate dagli esperti che, talvolta, abbiamo guardato con un certo senso di sospettosa sufficienza.
Secondariamente ci stanno dimostrando che i cambiamenti globali hanno un effetto molto rapido sugli ecosistemi. Tutti noi avremmo immaginato un ecosistema marino che cambia lentamente mentre possiamo apprezzare gli effetti dei cambiamenti nel breve lasso di tempo della nostra vita professionale.
In ogni caso, l’attuale situazione consente di realizzare il sogno di ogni paleoecologo: poter studiare in diretta l’ambiente marino durante un periodo di cambiamento delle condizioni climatiche. Le morie e le misteriose malattie delle scogliere coralline hanno mutato radicalmente, in tempi brevissimi, l’aspetto dei fondali intertropicali. Fenomeni più lenti sono costantemente in atto e contribuiscono a modificazioni che interessano le biocenosi a tutti i livelli. Abbiamo raccolto una serie di dati significativi sulle biocenosi legate ai fondali ma non sappiamo quasi nulla di eventuali variazioni nelle comunità planctoniche. Quello che è certo è che la vita negli strati profondi dipende strettamente dall’attività di questo gruppo di organismi che quindi potrebbero condizionare l’ecologia dell’oceano fino alle sue più remote profondità.
Dal punto di vista della ricerca di base la sfida è straordinaria e costituirà il lavoro per molti anni a venire: capire le conseguenze di un riscaldamento planetario su una delle comunità più biodiversificate del globo. Abbiamo bisogno di una nuova generazione di ricercatori che siano in grado di raccogliere la sfida con i mezzi concettuali e tecnici adeguati.