Quando è comparsa la vita sulla Terra? Come la vita può aver avuto inizio? Quali sono le forme più semplici di vita? Come si sono evoluti gli esseri viventi? Queste domande hanno da sempre affascinato uomini di ogni epoca divenendo uno dei temi di ricerca principali delle scienze naturali. Nelle ultime decine di anni diversi sforzi sono stati dedicati ad investigare alcuni passaggi critici dell’origine della vita e alcune significative scoperte sono state ottenute.
Testimonianza indiretta delle più antiche forme di vita presenti sulla Terra ci viene offerta da ritrovamenti di stromatoliti, particolari formazioni calcaree che risultano dall’azione di colonie batteriche, datate circa 3.5-3.8 miliardi di anni fa, mezzo miliardo di anni dopo la stabilizzazione della crosta terrestre e delle distese oceaniche (condizione necessaria per l’emergere della vita). Che cosa sia accaduto in questo lasso di tempo di 500 milioni di anni è difficile da immaginare, ma qualcosa deve essere pur successo. L’indagine scientifica si è quindi dedicata a formulare scenari coerenti che potessero fornire una strada scientificamente ragionevole di sviluppo della vita a partire dalle caratteristiche geologiche, chimiche e fisiche che il nostro pianeta possedeva allora.
Nel 1953 Stanley Miller, riproducendo in laboratorio le condizioni della Terra primordiale, aveva dimostrato la possibilità di formazione spontanea di molecole organiche, tra cui i costituenti della vita come diversi amminoacidi, zuccheri, basi azotate ed acidi grassi, per mezzo di reazioni chimiche innescate in modo casuale su una miscela di acqua e molecole inorganiche semplici in un’atmosfera ricca di gas riducenti. A seguito di questa scoperta l’opinione diffusa negli ambienti accademici era che iterando tali reazioni casuali si sarebbero potute ottenere anche le macromolecole fondamentali della vita, se non la vita stessa.
Negli ultimi anni, alcuni indizi offerti dall’analisi delle strutture e dei processi biomolecolari hanno portato alla teoria del “RNA world”, secondo cui le forme più semplici di vita sarebbero state catene di RNA capaci di attività enzimatica (chiamate ribozimi), ovvero capaci di sintetizzare altre catene a partire dalle molecole più semplici disponibili nell’ambiente. L’RNA world sarebbe quindi il sistema più semplice capace di riprodursi, generando copie delle molecole che lo compongono e al tempo stesso di trasmettere sequenze genetiche così garantendo anche la possibilità di evolversi.
Pur essendo semplici catene di zuccheri, fosfati e basi azotate, i ribozimi, essendo formati da catene di almeno 50 basi, sono attualmente considerati molecole troppo complesse per essere il prodotto di reazioni chimiche casuali. Il premio Nobel Christian De Duve riassume il nocciolo della questione affermando che “Come sia stato possibile che l’RNA sia emerso dalla miscela molecolare ancestrale in assenza di una mano che guidasse la sintesi è una questione che stupisce ogni chimico. […] C’è la necessità di qualche processo autocatalitico che abbia favorito l’allungamento delle molecole”.
Un altro premio Nobel affascinato dall’indagine sul mondo prebiotico, Jack Szostak, da tempo sostiene che “la scoperta di nuovi meccanismi fisici è essenziale per capire come la vita possa aver avuto inizio”.
Questa affermazione equivale ad assumere che le proprietà fisiche dei componenti principali delle macromolecole biologiche (DNA, RNA, proteine e lipidi) devono aver avuto un ruolo nel promuovere il formarsi della complessità molecolare che caratterizza la materia vivente. è ragionevole immaginare che in ambienti primordiali (oceani, stagni, bocche idrotermali) in cui fossero presenti, in quantità più o meno consistenti, svariati tipi di molecole, quelle che possedevano proprietà chimico-fisiche tali da favorire la formazione la formazione spontanea di strutture complesse, avranno più facilmente generato macromolecole. La domanda aperta è quali tipi di strutture spontanee abbiano potuto precedere la formazione del RNA.
Proprio in questo contesto si inserisce uno studio recente, pubblicato sulla rivista Nature Communications, svolto da un gruppo di ricercatori dell’Università Statale di Milano – Tommaso Fraccia, Giuliano Zanchetta, Elvezia Paraboschi e Tommaso Bellini – in collaborazione con Giorgio Dieci dell’Università di Parma e con la University of Colorado di Boulder (Usa).
Questa ricerca è scaturita dall’osservazione che catene molto corte di DNA (4-20 paia di basi) sono capaci di sviluppare particolari forme di ordine (le affascinanti strutture colorate delle dimensioni di pochi micron mostrate nell’immagine iniziale) tipiche dei cristalli liquidi (ben noti dai display dei dispositivi elettronici). Pur non avendo un’applicazione tecnologica nel campo dei display, questa scoperta ha evidenziato l’importanza di una proprietà particolare del DNA e dell’RNA: le doppie eliche che noi tutti conosciamo interagiscono tra loro impilandosi una sull’altra, attraverso forze dette di stacking, favorendo la formazione di aggregati fisici lineari – ovvero catene in cui gli elementi sono a contatto ma non legati chimicamente tra loro – che sono stabilizzati dall’ordinamento collettivo del sistema. Per fare un’analogia, se tentiamo di impilare una gran quantità di scatolette di pelati, avremmo tanta più chance di ottenere pile abbastanza alte, quanto più riusciamo a fare delle colonne ben ordinate e vicine, in modo che si autosostengano, piuttosto che improvvisando precarie colonne disordinate e lontane tra loro.
L’aspetto interessante è che con il DNA e l’RNA questo processo avviene in modo spontaneo, senza aiuto esterno (prende infatti il nome di self-assembly) e dipende solamente dalle caratteristiche fisiche dei componenti iniziali. Organizzate in questo modo, i terminali delle doppie eliche sono mantenuti in continuo contatto. La ricerca effettuata ha mostrato che, in presenza di opportune condizioni chimiche capaci di rendere reattive le parti terminali delle molecole, questo ordine fisico spontaneo all’interno dei cristalli liquidi fa aumentare considerevolmente la formazione di legami chimici tra corte sequenze adiacenti di DNA. In questo modo gli aggregati lineari guidano la formazione di polimeri via via più lunghi.
Pertanto, la capacità di auto-ordinarsi di piccoli frammenti di DNA e RNA potrebbe essere quella proprietà cruciale, tanto invocata, che alcuni miliardi di anni fa ha guidato il formarsi dei primi filamenti capaci di attività enzimatica. Un tassello fondamentale per la comparsa vita sulla Terra.