Tutti abbiamo provato qualche volta a utilizzare un ago magnetico, una bussola, per rivelare la presenza di un campo magnetico: è un’esperienza di tipo piuttosto semplice, anche se presenta la sua originalità e una buona dose di sorpresa. È stata proprio la meraviglia di fronte al comportamento di un ago magnetico a destare la curiosità scientifica del bambino Albert Einstein, che non riusciva a spiegarsi quella forza invisibile che agiva sull’ago deviandolo.
Dai tempi dello stupore di Einstein la misura del magnetismo ha fatto passi avanti considerevoli e sono stati realizzati magnetometri, sensori e rivelatori di campi magnetici di ogni tipo, sfruttando diverse tecniche e applicando le conoscenze sul comportamento microscopico della materia maturate nel secolo scorso. Anche le applicazioni sono aumentate, arrivando a toccare ambiti come la prospezione geologica, i sistemi anti- contraffazione, fino alle tecniche di visualizzazione delle immagini medicali.
Il diffondersi di queste applicazioni, soprattutto in campo medico e della sicurezza, pone l’esigenza di miglioramenti nelle tecniche costruttive, per superare alcuni limiti della strumentazione attualmente impiegata e consentire di realizzare apparecchiature portatili e di dimensioni sempre più contenute. Molte soluzioni oggi in uso non sono soddisfacenti, o per l’ingombro e la sicurezza in quanto basate sulla presenza di serbatoi di gas; o per il limitato campo di utilizzo dovuto al fatto funzionano solo in strette bande di frequenza.
Una promessa per arrivare alla costruzione di magnetometri portatili efficienti, è rappresentata dai diamanti sintetici con i cosiddetti difetti azoto-lacuna (nitrogen vacancies, NVs), una caratteristica che li renderebbe estremamente sensibili ai campi magnetici. Un chip di diamante delle dimensioni di un ventesimo di un’unghia, potrebbe contenere migliaia di miliardi di azoto-lacune, ciascuna in grado di svolgere la propria misurazione di campo magnetico. Il problema sorge quando si tratta di sommare tutte queste misure. Rivelare una azoto-lacuna richiede di sondarla con luce laser, che lei può assorbire e riemettere: l’intensità della luce emessa trasporta informazioni sullo stato magnetico vacante.
Ora un team di ricercatori del MIT di Boston – del Research Laboratory of Electronics e del Lincoln Laboratory – ha sviluppato un nuovo rilevatore di campo magnetico, ultrasensibile che sembra essere mille volte più efficienti rispetto ai suoi predecessori; la promettente soluzione è stata illustrata dagli autori – Hannah Clevenson, Dirk Englund, Danielle Braje, Matthew Trusheim. Carson Teale e Tim Schröder – sull’ultimo numero della rivista Nature Physics. In passato – dicono i ricercatori – solo una piccola frazione della pompa di luce è stata utilizzata per eccitare una piccola frazione delle NVs; nel nuovo dispositivo invece si fa uso di quasi tutta la pompa di luce per misurare quasi tutte le NVs.
Bisogna ricordare che un diamante puro è un reticolo di atomi di carbonio che non interagiscono con i campi magnetici. Una azoto-lacuna è un atomo mancante nel reticolo, adiacente a un atomo di azoto: gli elettroni del posto vacante interagiscono con i campi magnetici ed è per questo che sono utili per il rilevamento. Quando una particella di luce – un fotone – colpisce un elettrone in un NV, lo porta a uno stato energetico superiore; quando poi l’elettrone ricade nel suo stato energetico originale, esso può rilasciare la sua energia in eccesso sotto forma di un altro fotone. Un campo magnetico, tuttavia, può capovolgere l’orientamento magnetico dell’elettrone, cioè lo spin, aumentando la differenza tra i suoi due stati energetici. Più forte è il campo, più capovolgimenti potrà compiere, cambiando la luminosità della luce emessa dalle lacune.
Fare misure accurate con questo tipo di chip richiede di raccogliere quanti più fotoni possibile. In precedenti esperimenti i ricercatori spesso eccitavano le NVs indirizzando luce laser sulla superficie del chip. Così però solo una piccola frazione della luce viene assorbita: la maggior parte di essa passa diritta attraverso il diamante. I fisici del MIT hanno ottenuto un enorme vantaggio aggiungendo un prisma all’angolo del diamante e accoppiandolo al laser: così tutta la luce immessa nel diamante può essere assorbita e diventare utile.
I ricercatori hanno calcolato l’angolo col quale il fascio laser deve entrare nel cristallo in modo da restare confinato, rimbalzando sui lati – come una pallina elastica dai bordi di un tavolo da biliardo – secondo una configurazione che si espande in lunghezza e larghezza nel cristallo prima che tutta la sua energia venga assorbita. Come ha dichiarato Englund «è possibile arrivare quasi a un metro di lunghezza del percorso: è come avere un sensore di diamante di un metro di lunghezza impacchettato in un paio di millimetri. Di conseguenza, il chip utilizza l’energia della pompa laser in modo mille volte più efficiente di quanto sia stato fatto finora».
A causa della geometria delle azoto-lacune, i fotoni riemessi emergono in quattro angoli distinti. Una lente a un’estremità del cristallo può raccoglierne il 20% e concentrarli su un rivelatore di luce, il che è sufficiente a produrre una misura affidabile.
Tutto ciò avviene con un sistema relativamente semplice e facile da realizzare: basta un piccolo campione a stato solido, non serve metterlo nel vuoto e non è necessario raffreddarlo criogenicamente; e per l’eccitazione, si può semplicemente utilizzare un laser verde, può andar bene anche un normale un puntatore laser. Con evidenti vantaggi, anche economici.