La scomparsa del famoso cantante David Bowie ha riacceso l’attenzione su una delle malattie più mortali in tutto il pianeta: il tumore al fegato. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è la seconda causa di morte per neoplasie a livello globale, e solo nell’anno 2012 (ultimo anno con stime complete) ha colpito circa 800.000 persone in tutto il pianeta, causando il decesso in ben 746.000 casi. La causa della malattia, come in buona parte delle neoplasie, ancora non è del tutto nota. Gli esperti pensano che sia riconducibile a una mutazione genetica delle cellule epatiche visto che in alcuni casi si è notato l’insorgere della malattia al fegato causata da cirrosi o epatite C. La consapevolezza delle correlazioni con questo tipo di malattie porta gli esperti ad affermare che la prevenzione e uno stile di vita adeguato possono abbattere il rischio di contrarre la neoplasia al fegato. In alcuni casi il tumore viene letteralmente “importato” nel fegato, tramite il passaggio, la sedimentazione e la successiva permanenza di cellule malate provenienti da altre parti del corpo. Tale permanenza porta a una metastasi cellulare che si propaga con effetti deleteri nell’organo, portando all’insorgere della malattia a livello epatico. La diagnosi del tumore è effettuata tramite strumenti diagnostici che prevedono tac e risonanza, essi sono effettuati all’insorgere di sintomatologie ben definite, tra le quali spiccano inappetenza, perdita di peso e dolori addominali.
Le cure mediche allo stato attuali sono mirate a innalzare l’aspettativa di vita dell’ammalato: il tumore è infatti uno di quelli con meno possibilità di sopravvivenza a cinque anni, (solo il 15% delle persone colpite riesce a guarire in maniera totale). La ricerca, seppur migliorata negli ultimi venti anni, non riesce infatti a intervenire con successo nella maggior parte dei casi, soprattutto a causa della fragilità e dell’estrema vascolarizzazione dell’organo colpito. Le cure sono quelle classiche destinate agli ammalati di neoplasia e contemplano l’intervento chirurgico (ove possibile) e il tentativo di riduzione della massa tumorale attraverso cicli di chemioterapia mirati. In alcuni casi, soprattutto in presenza di masse tumorali consistenti, l’intervento medico si poggia su massicce dosi di radioterapie, che hanno lo scopo di non far aumentare la massa tumorale. In pochi casi la terapia contempla un trapianto completo dell’organo. L’intervento è infatti altamente rischioso e viene effettuato solamente in presenza di ammalati che hanno delle condizioni generali ottime: la conseguenza negativa oltre a quella del rigetto dell’organo è che il paziente non sopravviva all’importante operazione chirurgica.
Il caso di Bowie non è l’unico nel panorama mondiale. Risalto ha avuto anche la storia del calciatore Abidal: al forte difensore che all’epoca della scoperta militava nel Barcellona, era stato diagnosticato un cancro al fegato nel 2011. Operatosi immediatamente, si era sottoposto a delle cure mirate per eliminare il rischio di recidiva e tornato in campo per pochi minuti, a due mesi esatti dall’operazione, ha avuto l’onore, grazie al gesto cavalleresco del capitano del “Barca” Puyol, (che nell’occasione gli aveva ceduto la fascia di capitano), di alzare al cielo la coppa dei campioni vinta dalla sua squadra. Abidal immediatamente dopo la malattia ha continuato a giocare ma, sottoposto a trapianto di fegato per una recidiva della neoplasia, in seguito ha dovuto lasciare il calcio. Attualmente è commentatore televisivo e gode di una salute abbastanza soddisfacente. Un’altra atleta colpita da questadevastante malattia è stata Annarita Sidoti: la marciatrice messinese dopo essersi sottoposta a cinque interventi chirurgici, l’ultimo dei quali per un trapianto completo, si è dovuta però arrendere alla neoplasia. Deceduta nel 2105 ha sempre, dato un’immagine positiva della sua vita, continuando a intervenire fino alla fine in trasmissioni televisive e curando amorevolmente la sua famiglia. Grazie a lei gli italiani hanno capito che si può continuare a vivere decentemente insieme alla malattia, che però purtroppo nel suo caso alla fine ha vinto.