Nell’ultimo numero dell’importante rivista scientifica Nature Microbiology, è uscito uno studio che di fatto ha messo fine ad una lunga diatriba a livello scientifico, che durava da decenni. La ricerca curata da Brett Baker, dell’università del Texas, evidenzia come i ricercatori siano riusciti a scoprire alcuni batteri che vivono e proliferano nelle condizioni più estreme del nostro pianeta. La ricerca ha preso avvio dal ritrovamento, del tutto casuale, di alcuni micro organismi rinvenuti ad oltre 3 km di profondità all’interno di una miniera d’oro sudafricana. I ricercatori hanno appuntato la loro attenzione sui batteri, perché non riuscivano a capire come essi riuscissero a sopravvivere in assenza di luce e di aria, e per questo hanno iniziato a ricercarli su tutto il pianeta. La maggiore attenzione sui micro organismi, ha portato al ritrovamento di altri embrioni anche in diverse zone del pianeta, gli organismi sono stati prelevati con attenzione dai ricercatori, isolati, catalogati e trasportati nella sede universitaria americana, per uno studio lungo e molto particolareggiato.
I luoghi di ritrovamento erano i più disparati, ma tutti avevano in comune l’estrema difficoltà delle condizioni, essi andavano dalle calde sorgenti sotterranee del parco dello Yellowstone agli estuari fangosi della North Carolina. Gli studiosi hanno analizzato le condizioni presenti nei luoghi dei ritrovamenti, e hanno notato che in quasi tutte vi era un’assenza totale di luce, e una quantità di aria con percentuali di ossigeno bassissime, condizioni queste che si credeva impedissero qualsiasi forma di vita anche la più primordiale.
I batteri sono stati isolati grazie ad un procedimento mai utilizzato fino adesso, e che prevede l’utilizzo di un macchinario dotato di un filtro a maglia molto stretta. Lo strumento utilizzato, possiede una “rete” del diametro di 0.2 micron, essa riesce a estrarre gli organismi e permette un loro studio preventivo tramite un microscopico elettronico di ultima generazione. Tutto il procedimento deve essere effettuato in un ambiente sterile a pressione controllata, qualsiasi variazione di temperatura e pressione deve essere attentamente valutata dai ricercatori, visto soprattutto il piccolissimo ordine di grandezza degli embrioni. Dall’esame si è appurato che essi possiedono una grandezza infinitesimale pari a circa 0,009 micron cubi, (basti pensare che oltre 150.000 di questi batteri, potrebbero “sostare” sulla punta di un capello umano). Oltre la grandezza, gli scienziati non riuscivano a capire però come essi potessero proliferare in maniera autonoma in ambienti estremi. Da qui la decisione di sequenziare il genoma.
Dopo mesi di studi e superando infinite difficoltà legate alla microscopica grandezza, i ricercatori sono riusciti a stabilire la posizione filogenetica degli organismi. Tale passaggio è importante, di fatto, per procedere in seguito alla decifrazione del DNA, e capire cosi come funzioni la correlazione chimico-genetica degli organismi.
Insieme agli studi genetici legati ai microscopici organismi l’attenzione dei ricercatori si è appuntata al funzionamento del metabolismo dei batteri, si è scoperto cosi che essi sfruttando un particolare procedimento biochimico, riescono a modificare le piccolissime quantità di monossido di carbonio che riescono a recepire nel sottosuolo, e a trarre da esso l’energia necessaria per mantenersi in vita e riprodursi. La scoperta è importantissima se non altro perché fa decadere le ipotesi di mancanza di vita in ambienti ostili, e apre il campo alla ricerca di organismi viventi in ambienti ancora più estremi, come ad esempio la zona inferiore della litosfera
Durante la conferenza stampa di presentazione della ricerca, Baker che durante lo studio ha usufruito della collaborazione dei colleghi dell’Università di Uppsala in Svezia, ha indicato i batteri con il nome di Hadesarchaea. Lo scienziato americano ha voluto sottolineare come il nome sia stato scelto per la similitudine dei batteri con gli dei degli inferi (Ade per l’appunto). La decisione del nuovo nome è stata presa all’unanimità tra i ricercatori che hanno curato lo studio, visto che i micro organismi grazie alla loro resistenza, sarebbero capaci di sopravvivere anche in quell’ambiente ostile che la mitologia antica descrive come il regno sotterraneo del dio Ade, e che noi umani cataloghiamo come inferno.