WHAT?/ Se i Big Data entrano nell’ambulatorio del medico di famiglia

- int. Luca Sangiorgi

Al Meeting di Rimini è intervenuto LUCA SANGIORGI, genetista presso l’Istituto Ospedaliero Rizzoli di Bologna. L'utilizzo dei Big Data nella medicina di base è la prossima frontiera

Big-Data_R439 Immagine dal web

Quando si parla di utilizzo dei Big Data nella ricerca si pensa alla Big Science, alla fisica delle particelle, all’astrofisica dove la mole dei dati è enorme e la loro elaborazione. Magari attraverso la statistica, che può facilitare il raggiungimento di grandi risultati scientifici. Ci sono però anche altri campi che stanno traendo significativi vantaggi dall’impiego dei Big Data, anche molto vicino alla nostra vita di tutti i giorni. Uno di questi è quello medico. Ne ha parlato al Meeting Luca Sangiorgi, genetista presso l’Istituto Ospedaliero Rizzoli di Bologna, intervenendo agli incontri presso lo spazio “WHAT – What’s Human About Technology?”. Ilsussidiario.net lo ha incontrato.

Come e perché i Big Data stanno entrando nella ricerca medica e nella medicina in genere?
Semplicemente per cercare di creare una medicina più precisa, che possa ricercare trattamenti sempre più specifici e sempre meno generalizzati che potrebbero portare svantaggi a pazienti che non hanno necessità di essere trattati o sovratrattati.

Quanto sono “big” i vostri dati?
I nostri Big Data forse non saranno grandi quanto quelli della fisica o dell’astrofisica, ma considerando che sommando i dati di una risonanza magnetica e di un esame completo del genoma arriviamo già a diversi Terabyte possiamo dire di essere già in un settore abbastanza “Big”.

Questi dati sono molto personali, vanno dai dati biologici ai dati familiari: quali problemi emergono dalla sensibilità dei dati trattati?
L’aspetto fondamentale da tenere in considerazione è la libertà nel dare il consenso o meno al trattamento di questi dati. Altra cosa importante è che questo eventuale consenso è revocabile. Bisogna capire il motivo per cui vengono richiesti questi dati e viene dato il consenso alla loro raccolta, quindi bisogna avere coscienza che ciò non è definitivo perché questi dati sono una proprietà dell’individuo e non dell’organizzazione che li raccoglie, il permesso al trattamento è sempre revocabile.

L’utilizzo del Big Data per ora è confinato a strutture di un certo livello. Un domani potrebbe arrivare fino al medico di famiglia?
Assolutamente sì, anzi, il medico di famiglia sarà coinvolto nell’acquisizione dei dati, per esempio abitudini alimentari, consumo di sigarette o alcolici o anche semplicemente stili di vita dei pazienti. Chi meglio del medico di base può raccogliere dati del genere con la dovuta precisione e accuratezza.

Il mondo della medicina in Italia è preparato a questa innovazione?
Decisamente no, ci vorrà un po’ di cultura, ma le nuove generazioni già stanno iniziando ad assimilare una modalità di gestione su tutti i livelli, dalle istituzioni ospedaliere al medico di base, per far fronte all’importanza della connessione di tutti questi dati per cercare di trattare al meglio i pazienti.

(a cura di Emanuele Cambiaso e Mario Gargantini)





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