Ieri lo spazio”WHAT? Macchine che imparano” ha ospitato due giuristi, Luciano Violante, presidente emerito della Camera dei deputati, e Andrea Simoncini, professore ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Firenze. Partendo dai temi del rapporto tra legge e tecnologia, la discussione si è ampliata sino a ridefinire i termini di una “nuova antropologia” su cui fondare una comprensione e una consapevolezza nuovi per far fronte ai grandi cambiamenti dovuti all’intelligenza artificiale. La Redazione di What ha raccolto i contributi più significativi dal dialogo moderato da Marco Bersanelli.
Cosa hanno in comune intelligenza artificiale e legge? — Nella domanda di apertura si affronta subito una questione fondamentale: “Tecnologia e legge sono ambiti separati o, in qualche modo, interagiscono e condividono qualcosa?”.
Ci si accorge ben presto, infatti, che ormai la tecnologia, entrando nella vita quotidiana di ognuno e divenendo un supporto al quale ci si affida sempre più, pone dei quesiti che esulano dalla discussione squisitamente tecnica e interessano il modo in cui interagisce con la società, quindi con l’ordine giuridico.
Le macchine sono concepite per essere al nostro servizio, per sollevare l’uomo dalle fatiche inutili, dai lavori monotoni e alienanti, quindi per soddisfare dei bisogni. Simoncini sottolinea, però, che la nuova sfida a cui l’intelligenza artificiale ci conduce ha una particolare valenza antropologica: citando H. Marcuse in uno scritto del 1964 dal titolo L’uomo a una dimensione, dice che “nella misura in cui la libertà dal bisogno diventa reale, le libertà vanno perdendo il significato di un tempo”, ovvero “se la libertà è la possibilità di fare, essa non sarà forse intaccata dalla prospettiva che le macchine autonome possano ‘liberarci’ sempre più dai nostri compiti?”.
Simoncini ci porta nel vivo della questione osservando che, similmente alle rivoluzioni tecnologiche e industriali che ci hanno già interessato, “il potere politico si sposta sui soggetti che forniscono la possibilità di rispondere ai bisogni, quindi su colossi come Amazon, Google o Facebook”. Esiste in generale il rischio che si affermi una mitologia contemporanea, ovvero l’idea che gli algoritmi possano risolvere tutti i problemi complessi e che tutta la complessità dell’uomo e del mondo possa essere ridotta ad una sequenza finita di passi. Questa possibilità pone una domanda nuova a chi si occupa di quella parte del diritto che ha il compito di limitare gli altri poteri politici: dal momento che l’intelligenza artificiale può diventare un potere in sé o di chi la controlla, essa assume rilevanza come gli altri poteri politici e deve essere regolamentata.
Cosa c’è di diverso rispetto alle rivoluzioni che già nel passato hanno portato problemi ed opportunità? — Violante interviene a ripercorrere alcuni dei grandi movimenti di rivoluzione che hanno caratterizzato gli ultimi secoli e pone l’accento sul fatto che adesso, differentemente da prima, siamo in grado di guidare questo processo, quello che vede una crescente presenza di sistemi automatici indipendenti e intelligenti nelle attività umane. Alcune delle linee guida che il professore propone sono: 1: “Deve poter la macchina intraprendere delle azioni in maniera completamente indipendente dall’uomo?”. Uno dei principi deve essere che le macchine non devono essere mai totalmente autonome, l’uomo deve sempre poter controllare il processo in corso; 2: Evitare di mettere la macchina di fronte a scelte tragiche. La macchina non dovrebbe mai essere posta nella situazione in cui decidere comporti sempre un costo umano, in cui sia richiesta etica. 3: Conoscere l’investitore che ha finanziato la macchina. Dal momento che tale posizione si presta a scambi e compromessi politico-economici, dovrebbe essere sempre noto chi è il finanziatore della macchina, in modo che non ne tragga vantaggio sovra la giurisdizione. Dal momento che che il problema della democrazia è un problema di potere, Violante ribadisce che la Costituzione, al pari degli altri poteri, preveda le macchine e chi le produce come poteri.
C’è però da sottolineare un altro aspetto, cioè che il cambiamento che stiamo vivendo è globale e non interessa soltanto uno Stato. Come possiamo affrontarlo? — Per certi versi l’introduzione dell’intelligenza artificiale porta ad una rottura nel paradigma classico che vede distinte e ben definite le entità di soggetto e strumento. Sicuramente, afferma Simoncini, non si deve adottare una posizione ostile, di negazione verso queste nuove frontiere, in quanto nascono comunque per risolvere dei bisogni e possono essere di aiuto per l’umanità, ma è da tenere ben presente che c’è un punto di responsabilità. Il paradigma classico che vede l’uomo come il soggetto e l’oggetto come strumento della sua volontà viene meno quando si parla di sistemi autonomi: le due entità sono sempre più vicine al punto che la macchina dotata di azione propria e non esplicitamente guidata si assimila ad un soggetto senziente, nel senso che intraprende una azione non programmata o comandata e che non ha origine in una scelta umana consapevole. Le macchine sono poi silenti nel modo in cui l’uomo vede e vuole, nel senso che spesso, nella prospettiva in cui ogni piccola scomodità viene alleggerita da un automatismo, questo ogni volta restringe e limita in qualche modo la nostra visione.
La chiave sarebbe allora avere una consapevolezza globale, quale quella che si è già avuta in diverse occasioni di interesse quali, cita Simoncini, l’accordo sulla non proliferazione nucleare e l’accordo di Parigi. Un processo di consapevolezza, specifica Violante, basato sulla conoscenza innanzitutto, quindi sull’eliminazione dei pregiudizi e guidata da una prospettiva orientata al futuro. “C’è bisogno di una nuova antropologia, di ripensare i concetti di responsabilità, limiti e colpa in termini nuovi rispetto a processi che ci possono dare immediatamente grandi benefici ma che bisogna anche gestire bene per evitare che ci siano grandi tragedie”.
C’è da riconoscere che la giurisdizione è probabilmente carente nel regolamentare i rapporti tra i soggetti, la rete e le macchine. Ad esempio manca la definizione di un elemento educativo tra la legge e i soggetti — Non bisogna confondere il legame tra pedagogia e legge con il soggetto. La legge non nasce da una esigenza pedagogica ed educare non è neanche il suo scopo, anche se naturalmente le regole che uno Stato si dà costituiscono anche una sorta di accordo tra i cittadini e sono guidate da una idea pedagogica. C’è bisogno che un problema sia sentito e sia presente prima di poter legiferare in merito ad esso. La chiave affinché si possa convivere in modo sostenibile ad un progresso del genere è ridefinire i termini di una nuova antropologia. Il problema di fondo è: “cosa mi rende libero? Cosa aiuta l’uomo a vedere qual è il suo vero bisogno? Che cosa davvero ci rende liberi e non dipendenti da qualcosa d’altro e che cosa ci provoca una soddisfazione non passeggera?”