“APPUNTI SUL SINODO”: I CONSIGLI DEL CARDINALE SCOLA PER FAR RIPARTIRE LA CHIESA
Dal “Foglio” un lungo e autorevole “spunto” di riflessione sull’attualità e il futuro della Chiesa Cattolica arriva dal cardinale Angelo Scola, alla vigilia del Sinodo sulla Sinodalità che riaprirà i battenti da settembre per le sue fasi finali. Come li definisce lui stesso “Appunti sul Sinodo”, quanto scritto da Scola appare nella prefazione dell’arcivescovo emerito di Milano alla nuova edizione di “Conversazioni sulla Chiesa”, una raccolta di interviste che nel 1985 Scola fece a Henri De Lubac e Hans Urs von Balthasar, due dei più grandi pensatori e teologi della storia ecclesiastica.
«Ha veramente senso ripubblicare due testi che hanno ormai quasi quarant’anni di vita, stanti tutti gli eventi succedutisi in questi decenni nella Chiesa e nella società?», si chiede il cardinale aprendo la prefazione, «sono convinto che la genialità teologico-culturale dei due autori ha offerto risposte illuminanti, ovviamente a diversi gradi di intensità, a problemi ancora oggi aperti». Dalla secolarizzazione alla scristianizzazione fino alla crisi di vocazione e di testimonianza: serve ben di più di un “nuovo umanesimo” che inquadri la necessità di porre le domande profonde dell’esistenza in un’unica grande “religione”. Come sottoscrive Scola richiamando le tesi di Von Balthasar e De Lubac, «il senso religioso è inestirpabile. Lo si può seppellire sotto mucchi di detriti ma, come i fili d’erba a primavera, ritornerà a spuntare. Parlare quindi di umanesimo esclusivo per descrivere lo stato attuale delle cose, come fa il filosofo Charles Taylor, può al massimo individuare una categoria sociologica di qualche utilità, ma non va al nocciolo del problema».
ANGELO SCOLA: “NON SI VIVE SENZA SENSO DELL’ESISTERE”
Il cuore dell’uomo davanti al nichilismo dilagante del mondo odierno – in alcuni casi con rischi anche all’interno della stessa Chiesa – «non può rassegnarsi al divieto che tutto il possibile sia realmente possibile». La domanda religiosa non è scomparsa nonostante l’opinione pubblica e la cultura tentino spesso di “sopprimerla”: secondo l’arcivescovo emerito di Milano, «la domanda religiosa è ben presente nella vita degli uomini di oggi e si fa sentire nella loro quotidiana esperienza, al di là della consapevolezza che riescono ad averne e indipendentemente dal modo con cui provano a comunicarla». Imparando dagli insegnamenti di De Lubac e Von Baltashar, Scola riflette sul fatto che tanto nel passato quanto oggi, «chi gode dell’incontro con Cristo, non può rinunciare a comunicare la sempre nuova e sorprendente bellezza del Vangelo»: il processo di secolarizzazione ha concluso ormai la sua parabola, continua il cardinale, originata dalla «critica radicale circa la possibilità che Gesù Cristo, realtà singolare e storicamente situata, potesse rappresentare una chiave interpretativa dell’universale».
Seguendo quanto lo stesso Papa Francesco ripete da anni, quella in cui stiamo vivendo «non è solo un’epoca di cambiamenti ma un cambiamento d’epoca». De Lubac e Von Balthasar affrontano problemi e sollevano questioni che lasciano intravvedere la natura del cambiamento in atto oggi, almeno mostrandone le “radici” e le origini: scrive ancora Scola che gli autori con le loro opere «si spingono fino a mostrare come i tratti dell’avvenimento di Cristo e della communio ecclesiale che ne consegue mantengano una sorprendente attualità». Il celebre maestro teologico e spirituale di Papa Benedetto XVI e Giovanni Paolo II aveva già messo in allarme decenni fa i rischi futuri per la Chiesa: «Se viene meno il cristianesimo, non si torna al Primo Testamento, ma a un neo paganesimo». De Lubac invece sottolineava la tendenza alla mondanità spirituale come rischio interno alla Chiesa, ripreso anche in questo magistero da Francesco per mostrare che tale tentazione «è un male interpretato adattamento della verità, della bontà e della bellezza dell’avvenimento di Gesù Cristo alla cultura dominante». Sinteticamente, chiosa il Card. Scola nella sua prefazione, si può indicare «il centro di questo assai insidioso atteggiamento nella radicale rottura tra l’io e il noi che sta sempre più investendo le nostre società. Non è questa la sede per indagarne le cause. Si può però dire che esse sono correlate all’inevitabile ricerca del senso della vita, del perché, ma ancor più del per chi io vivo: nessun uomo può vivere, ne sia cosciente o meno, senza avere un’idea del significato e della direzione del suo esistere».