Tump invia a Los Angeles della Guardia nazionale contro le manifestazioni pro migranti. Ma potrebbe far deflagrare la protesta contro di lui
Più o meno consapevolmente, Trump sta rischiando molto a Los Angeles e ora anche San Francisco, rischiando di scatenare un nuovo fronte interno di grande peso politico dalle potenziali gravi conseguenze.
Teso a riguadagnare consensi in vista delle elezioni di metà mandato a novembre 2026 e dopo aver lasciato in dubbio molti suoi elettori per le sue decisioni economiche e in politica estera dei primi mesi di presidenza, Trump ha comunque segnato un indubbio successo nella politica di contrasto all’immigrazione, grande nervo scoperto per molti americani.
Di fatto, anche se non bisogna prendere alla lettera i numeri che Trump ha più volte snocciolato in Tv, il “fronte sud” si è fermato con il blocco delle immigrazioni illegali dal Messico, così come aveva annunciato in campagna elettorale.
Anche i democratici hanno dovuto ammetterlo e di fatto accettare lo status quo, perché – soprattutto nel 2021-2023 – le cifre avevano superato ogni limite di guardia.
È un tema quindi su cui Trump ha tutto l’interesse a tenere alta l’attenzione rivendicando i suoi successi.
Oltre ad una maggiore vigilanza alle frontiere, l’attenzione dell’amministrazione si era ora rivolta a far emergere casi di immigrazione illegale di persone che a vario titolo avevano già l’obbligo di lasciare il Paese, ma che avevano contravvenuto alle autorità. Di qui la decisione di andarle a cercare per procedere ad espulsioni a volte clamorose e anche per via aerea davanti alle telecamere, una dimostrazione di forza per Trump a sostegno della propria linea dura.
A Los Angeles circa 40 persone erano state arrestate per essere poi espulse, ma la scorsa settimana sono iniziate delle proteste di piazza sempre più violente con gruppi di immigrati ispanici americani che hanno messo in atto crescenti episodi di violenza.
Tutto sommato proteste isolate, ma che non sono state represse né dalle autorità comunali (ispanica è anche la sindaco democratica di Los Angeles Karen Ruth Bass), né dal governatore californiano Gavin Newsom, noto perché era stato uno dei possibili nomi come candidato presidenziale al posto di Biden.
Giocando di sorpresa, Trump ha chiesto alla Guardia Nazionale di intervenire per ripristinare l’ordine bypassando il governatore Newsom e suscitando quindi un confronto politico sulla legittimità dell’atto.
In sé la mobilitazione federale è legittima, ma in passato era stata decisa solo in presenza di fatti molto più gravi (calamità naturali, grandi incendi, sommosse di grande portata), una specie di “intervento di secondo grado” limitato e straordinario quando non bastavano le forze dell’ordine locali.
Trump – e il futuro ci dirà se non sarà stato un azzardo – ha anticipato i tempi e dato gli ordini schierando in poche ore circa 5mila agenti antisommossa.
Va ricordato che la Guardia Nazionale è composta da cittadini comuni, addestrati con un corso e poi con richiami di un paio di weekend al mese, “volontari dell’ordine”, insomma. Ad oggi la situazione è confusa, i manifestanti continuano a protestare e nelle ultime notti hanno dato vita ad atti vandalici con incendi, furti e devastazioni che hanno portato alla reazione degli agenti, ma – nello stesso tempo – la questione è anche scivolata sul piano politico.
I democratici accusano Trump di abuso di potere portando una questione inizialmente locale a una questione di rilevanza nazionale, tanto che si è risentita la voce (ovviamente critica con Trump) perfino di Kamala Harris, potenziale prossima candidata governatrice democratica della California visto che Gavin Newsom è quasi a fine mandato.
Il problema non è però solo politico, perché le proteste di Los Angeles rischiano ora di deflagrare in molte altre città, soprattutto in quelle democratiche, con sindaci che potrebbero decidere di non intervenire o comunque di tenere posizioni “soft” davanti alle proteste, imponendo di fatto a Trump di intervenire nuovamente con conseguenze imprevedibili.
La situazione è diversa rispetto alle sommosse del Black Lives Matter che hanno incendiato l’America pochi anni fa: la comunità nera non sta dalla parte degli immigrati, anzi, è una guerra spesso tra poveri, così come non lo sono nemmeno le comunità ispaniche regolari e ormai naturalizzate americane, ma è evidente che il tema immigrazione può trovare ovunque frange di estremisti che possono trasformare le proteste in sommosse.
I prossimi giorni ci diranno se l’intervento di Trump sarà stato il soffio opportuno che spegne la candela solo potenzialmente pericolosa di una rivolta tutto sommato limitata, o il vento che avrà fatto deflagrare l’incendio.
È ancora presto per dirlo, ma – considerando l’odio viscerale contro il presidente che si è generato in America da parte di alcuni settori dell’opinione pubblica democratica -, il rischio di una moltiplicazione dei disordini è reale.
Per contro una buona parte dell’opinione pubblica (non solo repubblicana) sta con il presidente, perché non c’è nulla di peggio per far imbestialire gli americani che veder bruciare la propria bandiera in piazza. Il rischio è quindi la radicalizzazione dello scontro sia sul piano politico che dell’ordine pubblico.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.