TRUMP VS ZELENSKY, ATTO SECONDO (E PIÙ DURO, ANCHE SE NON È LA PRIMA VOLTA)
Nella giornata in cui le polemiche sull’asse Kiev-Washington sono corse velocissime, dopo un primo scontro a distanza tra Trump (irritato per le critiche dell’Ucraina ai negoziati a Riad) e Zelensky (frustato dalla messa nero su bianco di nuove Elezioni da lanciare a Kiev entro fine anno), è un lungo post su “Truth” a segnare l’affondo diplomatico della Casa Bianca con l’alleato ucraino.
Pur senza dire cose estremamente nuove – tanto in campagna elettorale quanto di recente Trump aveva ribadito tutti i concetti oggi riassunti nel post al “veleno” – fa certamente impressione leggere pesanti attacchi come «Zelensky è un dittatore senza Elezioni», o «ha suonato Biden come un violino», o ancora «è un pessimo negoziatore». Il post sui social arriva dunque al termine di una giornata che aveva visto anche il Cremlino con Putin bollare l’Ucraina come «inutile isteria», dato che sia gli Usa che la Russia hanno garantito che ai negoziati di pace per la tregua a Kiev parteciperanno sia gli inviati dell’Unione Europea e sia la rappresentanza del Governo Zelensky.
«È un comico di scarso successo», bolla il Presidente americano il suo omologo ucraino, di certo non favorendo un clima più disteso in vista di negoziati delicati per la fine della guerra in Ucraina: Zelensky è riuscito nell’impresa con l’Amministrazione Biden di portare gli Stati Uniti a spendere quasi 350 miliardi di dollari per una guerra «che non doveva neanche cominciare», e che senza l’intervento ora di Trump «non sarebbe mai stato in grado di risolvere». Non solo, l’affondo trumpiano mette in luce che metà dei soldi prestati dagli Usa sarebbero di fatto spariti, con Kiev incapace ora di capire come uscire da un impasse senza fine: l’invito, che suona tanto come una minaccia, è che ora Zelensky trovi il modo di risolvere il caos politico generato in Ucraina dopo aver congelato le Elezioni, «altrimenti non gli rimarrà un Paese». Trump in sostanza vuole così costringere Kiev ad allinearsi nella soluzione diplomatica avviata tra Usa e Russia senza la coda di polemiche invece sollevate tra ieri e oggi, col rischio di prolungare un conflitto che lo stesso Zelensky oggi ha spiegato di voler far terminare non oltre il 2025.
UCRAINA CRITICA I NEGOZIATI, TRUMP DELUSO DA ZELENSKY CHE RIBATTE: “VIVI NELLA DISINFORMAZIONE DI PUTIN”
La politica estera sa essere da un lato intellegibile e incomprensibile in alcuni passaggi e accordi “giocati” in super segretezza, ma dall’altro alle volte è molto semplice mettere in fila ogni fatto/reazione nella giusta posizione senza neanche essere degli iper attenti analisti geopolitici. Il nervosismo ad esempio dimostrato nelle scorse ore dal Presidente americano Donald Trump nei confronti dell’omologo ucraino Volodymyr Zelensky nasce da un semplice assunto che precede il tutto: quando infatti ieri in Arabia Saudita i team negoziali di Usa e Russia hanno iniziato ad imbastire il terreno per dei veri negoziati di pace sulla guerra in Ucraina – a cui, ha garantito lo stesso Ministro degli Esteri americano Rubio, saranno presenti sia Kiev che l’Unione Europea – è giunta dal Governo ucraino una dura reprimenda e critica sul tavolo organizzato a Riad tra la diplomazia Usa e quella russa.
O più esattamente, quando è emerso che uno dei punti fissati dagli americani era la promessa di giungere ad Elezioni in Ucraina (congelate per la guerra, con il Governo Zelensky protratto a tempo indefinito), ecco scattare da Kiev la critica feroce al tavolo di Riad: «non ci rappresenta», «ci hanno escluso», «così si dà spazio a Putin». Tutto decisamente comprensibile visto che la guerra è iniziata nel febbraio 2022 per l’invasione dell’esercito di Mosca nel Donbass ucraino e che tra morti e città devastate, oggi il Paese è un’autentica polveriera: in politica estera però occorre arrivare a dei compromessi, e il primo lanciato da Washington verso Mosca (il disgelo del rapporto è la vera notizia di questo inizio 2025, autentica speranza di un cessate il fuoco effettivo entro la fine dell’anno) a Kiev non è piaciuto con immediata sottolineatura.
Ecco che l’ira di Trump scatenata poco dopo prende un’angolatura ora forse più comprensibile a tutti: «Zelensky è al 4% di popolarità», lamenta il tycoon in conferenza stampa dalla Casa Bianca, «è da tempo che in Ucraina non hanno elezioni. Le persone sono stanche e vogliono che accada qualcosa». Trump non ha gradito la bocciatura del Governo ucraino ai primi accordi raggiunti con la controparte russa, e mostra tutta la sua delusione dopo che da settimane la stessa Amministrazione Usa aveva concordato con Kiev i vari passi tra la telefonata Trump-Putin, i primi colloqui e gli effettivi negoziati di pace che dovranno portare al cessate il fuoco quanto prima. «Per il Presidente Trump abbiamo grande rispetto come leader di un popolo che ci ha aiutato», premette Zelensky nella contro-critica verso la Casa Bianca, eppure sfortunatamente al momento «vive in uno spazio di disinformazione russa», riuscendo a far uscire dall’angolo il vero nemico, Vladimir Putin.
LA TELEFONATA, I NEGOZIATI, LE TERRE RARE E L’ULTIMO BOTTA E RISPOSTA: DOVE NASCE LO SCONTRO SU ZELENSKY (E COME SARÀ DIFFICILE USCIRNE)
Sebbene Zelensky continui a ribadire che la guerra in Ucraina dovrà finire entro il 2025, la sua richiesta di aiuti e sostegni a Usa e Unione Europea si trova incastrata nella volontà americana di trovare quanto prima una tregua con il Cremlino: «Vogliamo garanzie di sicurezza quest’anno», continua a sottolineare anche oggi il Presidente ucraino, che non deve aver gradito quel punto sulle Elezioni da indire nel suo Paese come richiesta formulata da Mosca e, pare, accolta da Washington.
Nella telefonata delle scorse settimane Trump a Zelensky aveva fatto intendere che occorreva impostare i negoziati in maniera molto più netta e aperta di quanto non fosse riuscito a fare Biden in 3 anni di conflitto: un punto su tutti, il nuovo Presidente Usa ha intimato il suo omologo sul dare qualcosa in cambio ad un Paese che dall’inizio della guerra sta aiutando in ogni modo e con ogni fondo l’Ucraina. Il tema delle terre rare, con la concessione alle aziende americane di un valore da circa 500 miliardi di dollari, era stato inizialmente accettato da Zelensky anche a livello pubblico, salvo poi ora metterlo nuovamente in discussione dopo la polemica sui negoziati in Arabia Saudita: «“restituiteci 500 miliardi di dollari in minerali’? Questa non è una discussione seria», ha spiegato nel suo ultimo discorso il Presidente ucraino.
Sebbene la Russia ancora ieri abbia sostanzialmente detto sì a negoziati diretti anche con Zelensky nelle prossime settimane, la possibilità di ottenere nuove Elezioni entro il 2025 in Ucraina viene visto dal Governo di Kiev come un tentativo di poter condizionare la politica interna ucraina: in tutto questo, disinformazione o meno, la popolarità di Zelensky tra elettori e soldati non è più come ad inizio guerra e occorre capire quanto prima quale sarà il piano messo in atto dal Governo per uscire dall’impasse di un conflitto tutt’altro che vicino ad una positiva conclusione.