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Home » Educazione » SCUOLA/ “Ci salvi chi può”: il grido di Federica, giovane prof tra ripetizioni e supplenze

  • Educazione

SCUOLA/ “Ci salvi chi può”: il grido di Federica, giovane prof tra ripetizioni e supplenze

Federica, fresca di laurea e supplente in una scuola, dà ripetizioni a Filippo, studente a rischio debito. È sempre più amareggiata

Corrado Bagnoli
Pubblicato 23 Aprile 2025
Studenti impegnati in un test di accesso alla facoltà di medicina (Ansa)

Studenti impegnati in un test di accesso alla facoltà di medicina (Ansa)

Avevamo lasciato Federica in una buia sera milanese, mentre tornava dall’università e s’infilava nella metropolitana per raggiungere la stazione ferroviaria, per uno dei suoi ultimi viaggi come studentessa di lettere, pendolare assuefatta ai ritardi di treni affollati e poco accoglienti.

Assuefatta, anche, all’idea sempre più chiara che l’università avesse tradito le sue attese: chi si iscrive a un corso di studi letterari è mosso da un desiderio di conoscenza. E da un coagulo di attese. Ora Federica è laureata, con la sua bella tesi sul suo poco famoso scrittore italiano che avrebbe voluto far conoscere a degli studenti che, come lei, potevano avere il cuore pieno di quelle stesse attese.


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Ma tra un concorso e l’altro, che lei non ha potuto fare perché non aveva i requisiti – carte, date, supplenze e non so cos’altro –  mi racconta che quest’anno è riuscita solo a fare qualche supplenza breve in scuole superiori dell’hinterland. E sta aiutando uno studente del terzo anno di un istituto tecnico a salvarsi da un debito in italiano che sembrava ormai quasi sicuro.


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Una volta si chiamavano ripetizioni. Oggi non so come le chiamino. Ma so che Federica è disperata, per una cosa e per l’altra. Perché una cosa, cioè le ripetizioni, conferma in modo sempre più evidente lo sfacelo dell’altra, la scuola. Nella scuola dove ha fatto le sue brevi supplenze si è scontrata innanzitutto con una realtà difficilmente riconducibile a quel coagulo di attese in cui lei consisteva e consiste. E che invece non è nemmeno lontanamente presente negli alunni che ha incontrato. In particolare rispetto alla letteratura. Se lo poteva anche aspettare, trattandosi di una scuola tecnica. Ma così no.


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I suoi colleghi, smaliziati e navigati – ma sono solo eufemismi – l’hanno rincuorata dicendo che prima o poi ci si fa l’abitudine. E che non c’è possibilità di conquistare l’attenzione di ragazzi che non hanno attesa verso niente, figuriamoci verso la letteratura.

Ma come? Lei ha sempre pensato che proprio grazie alla letteratura, invece, usata come un grimaldello, o come una bomba, si potesse penetrare nel caveau di ogni persona. No, le hanno detto in coro i suoi colleghi. Lascia perdere, questi qui non hanno nessun doppiofondo. Sono proprio così come li vedi. Dagli delle pagine da studiare, interroga, verifica che abbiano imparato le quattro cose del libro. E dovresti già essere contenta di questo.

Non può essere, ha pensato Federica. Ma intanto le quattro cose del libro sono esattamente quelle che il suo Filippo, lo studente a rischio debito, deve mandare giù a memoria per fare contenta la sua professoressa. Anche lei, dunque, come i suoi colleghi. Ma si può fare così?

Poi ripensa all’università, alle sue attese… disattese. Non si aspettava forse di studiare la letteratura? Non si aspettava forse di dedicare tutte le sue energie alla lettura e alla comprensione di testi che magari già avevano suscitato in lei entusiasmo, ma che aveva capito solo in parte e che voleva invece abbracciare in tutta la loro complessità? Non si aspettava di essere buttata dentro il mistero e la magia di una scrittura che le facesse incontrare possibilità mai sperimentate?

Ma, prima con una certa sorpresa, poi sempre più tristemente, ha dovuto constatare che nei corsi di lettere non si studia letteratura! Si studiano le forme, le opere sono ridotte a schematismi e strutture, alla storia da cui provengono, alla cultura, all’ideologia. Il testo non esiste, esiste solo il contesto. E questo viene tradotto così nella scuola di ogni giorno: i suoi colleghi spiegano Dante facendo studiare la sua vita; si soffermano sulle innumerevoli interpretazioni della figura del vello in quel canto, o di quella parola nell’altro. E intanto leggono qualche verso qui e qualche verso là, come se per comprendere un quadro, per esempio Guernica, prendessimo il microscopio e guardassimo l’orecchio del cavallo stramazzato, o il dito della mano che sta sul lato destro del quadro.

Ma l’arte non è propriamente ciò che piace senza nemmeno sapere nulla del contesto, come Federica ha imparato da un filosofo italiano? Il fatto è che all’università di lettere non si leggono i filosofi. E meno che meno i poeti. O meglio: non si leggono le loro opere. E alla scuola, di conseguenza, non si leggono i testi: ci sono antologie ben confezionate, con apparati didattici preziosi e colorati. Basta che il professore segua il libro: poca fantasia, poco coinvolgimento, poco pensiero, nessuna emozione.

Che tristezza quei pomeriggi con Filippo a imparare a memoria le pagine dell’antologia, a rispondere alle domandine predigerite che compaiono negli esercizi.

A lei oggi verrebbe voglia di far sentire il canto dell’Ulisse dantesco recitato da Carmelo Bene o da Gassman: quello lì è l’inferno che l’ha ribaltata dalla sedia. Non ci capiva niente, ma quando il suo prof delle medie glielo aveva fatto sentire e vedere, ha provato un’esperienza – emotiva e intellettuale, ora lo sa – profonda. Senza conoscere niente del contesto, né della genesi, né delle diverse interpretazioni sviluppate nel tempo.

Così accende il pc e cerca. Filippo la guarda perplesso, un po’ preoccupato: non era Federica che gli diceva sempre che era meglio chiudere il cellulare, il computer e aprire il libro?

Forse è vero che questi ragazzi non hanno attese che abitano il loro cuore. Ma la scuola ci ha messo del suo. E l’università, anche. Non so se Federica riuscirà a scalfire la ragionevole noia di Filippo, la colpevole connivenza degli insegnanti della sua scuola. Ma sarebbe bello che questa scuola, se non è in grado di parlare agli alunni, lasci almeno che lo facciano i testi.

Quando la realtà dentro cui viviamo appare così inaridita, quando tutto nella scuola viene ridotto – a partire dall’impegno vero degli adulti che dovrebbero tenerla in piedi –, a chi e a che cosa ci possiamo affidare?

Altro che realtà aumentata. Ci salvi chi può, verrebbe da dire. Tutto chiede salvezza, soprattutto nella scuola. Ma non so chi ha voglia di ascoltare questo grido così urgente che è anche il titolo di un bel libro del poeta Mencarelli (ma chi li legge, i libri? Chi li legge i poeti?): questa è una scuola che sembra avere voglia soltanto di riscrivere indicazioni e curricoli, non di salvarsi. Che dice di volere cambiare tutto, per non cambiare niente. Provaci almeno tu, Federica.

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