Maggio è il mese decisivo. E mentre il sole picchia come fosse il mese di agosto, le verifiche scritte e orali piovono a dirotto, come fosse autunno, sugli alunni che si ritrovano a studiare per interi pomeriggi. Certo: c’è la circolare del ministro a ricordare che occorre ripensare e modulare le attività di studio individuale degli studenti. Ma il mese di maggio per loro è ancora più crudele dell’aprile di Eliot, con i richiami del ministro già archiviati come un sogno di mezza estate.
In verità, Federica, quando ha visto le raccomandazioni contenute nel documento ministeriale, ha tirato fuori il suo sorriso più bello: ma davvero era necessario che arrivasse un ministro a ricordare ai professori come pianificare il loro lavoro con gli alunni?
Ripensa anche a quanto gli ha raccontato la sua amica che insegna in una scuola media ticinese: il coordinatore – certo, prende tremila franchi in più all’anno per il lavoro che fa – ha il compito di assicurarsi che i suoi colleghi non assegnino esercizi per il giorno successivo; che complessivamente il lavoro pomeridiano rientri in un tempo ritenuto utile e necessario per lo svolgimento dei compiti, in modo da lasciare spazio per altre attività.
In più, come da regolamento d’istituto, il coordinatore si assicura che le verifiche vengano corrette e i voti pubblicati sul registro elettronico entro una settimana. In genere non succede mai che non si rispettino i tempi e le modalità indicate, ma per chi lo dovesse fare esistono richiami e sanzioni.
Nell’aula docenti Federica continua a sorridere, tanto che i suoi colleghi la guardano come si guarda una strana. Strana, in realtà, è la scuola italiana. Basterebbe vedere cosa succede a Filippo, per esempio, il ragazzo a cui Federica dà ripetizioni. Ha svolto la verifica di storia più di un mese fa. Non sa ancora che voto abbia preso. La professoressa però gli ha detto che lo interrogherà per recuperare. Quando lo interrogherà? Per recuperare cosa? In cosa aveva sbagliato e come avrebbe potuto migliorare?
E questo accade anche per altre materie: la stessa professoressa deve ancora riconsegnare il tema, quello di matematica ha addirittura due verifiche da consegnare in arretrato. Ma ha già annunciato a tutta la classe che occorrerà farne una di recupero, proprio perché vuole andare incontro ai poveri alunni che altrimenti rischiano di trovarsi con un debito in pagella.
Era però già successo che una verifica di recupero in realtà contenesse esercizi che il professore non aveva mai spiegato, e i voti peggiorassero: i debiti di questi professori verranno mai recuperati? Se lo domanda Federica, ma forse dovrebbero domandarselo anche i genitori che dovrebbero esigere per i propri figli che vengano valutati per il loro lavoro nei tempi e nei modi corretti. Mica perché sono quelli dettati dal buon senso di un ministro, o adottati da una scuola ticinese, ma perché sono un loro sacrosanto diritto. A cui corrisponde il corrispettivo sacrosanto dovere dei professori.
Federica ha sempre un moto di ribellione nei confronti di chi denigra continuamente la scuola. Ma guardando Filippo alle prese con verifiche su contenuti mai spiegati, con un registro elettronico vuoto dopo le verifiche svolte, con un’incertezza sconsolante sul suo immediatissimo futuro, anche a lei verrebbe voglia di buttarla via questa scuola sgangherata che ha bisogno di raccomandazioni ministeriali che poi nemmeno ascolta.
Qualche tempo fa un suo amico che sta cercando lavoro le ha mostrato un documento che ha trovato in un’azienda dove è andato a fare un colloquio. Dice più o meno così: “abbiamo fatto credere ai giovani che bastasse studiare, che bastasse un pezzo di carta, che con quello avrebbero avuto il futuro in mano. Ma intanto il mondo è cambiato, il mercato è cambiato e la scuola è rimasta al palo: si insegna come ieri, i programmi sono uguali da decenni. Le aziende non cercano laureati, ma gente che risolve problemi. Le aziende stanno creando un’istruzione flessibile, pratica, concreta, inclusiva”.
Che abbiano ragione loro? Forse bisognerebbe che ci si desse una mano: non era uno degli obiettivi fondamentali quello di un raccordo tra scuola e mondo del lavoro? Forse bisognerebbe che ciascuno facesse il suo, di lavoro. Forse, tanto per cominciare, pensa Federica, basterebbe che Filippo sapesse qualcosa dai suoi professori prima che il mese più crudele dell’anno finisca. E la scuola con lui e tutti i suoi debiti.
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