Le mode culturali americane arrivano in Europa sempre un po’ in ritardo, questa volta forse fuori tempo massimo. Non è necessario essere fini analisti per capire quanto della vittoria di Trump sia stato determinato dagli eccessi della cosiddetta cultura woke, in tutte le sue sfaccettature. Ma a quanto pare le università storicamente più prestigiose del continente – Oxford e Cambridge – danzano ancora al suono di una musica che va spegnendosi.
Pare infatti che, in applicazione dell’orientamento di cui sopra, le prove di ammissione verranno notevolmente ammorbidite: si parla di esami a libro aperto, di lavori elaborati a casa, etc. Questo per permettere l’accesso anche da parte di minoranze etniche e di livelli socioculturali che, con le regole storiche, nonostante tutto, non ci riescono. Un rimedio peggiore di quello delle quote, perché si ottunde del tutto il senso delle differenze di merito. Questo per dire che bisogna oggi essere molto attenti quando si parla di scuola e cercare di non pensare per attaccamento inerziale ai buoni vecchi valori del buon vecchio tempo.
Nel caso della scuola europea, usciamo da un periodo in cui da una parte le esigenze di alfabetizzazione universale per la crescente complessità del funzionamento delle società, dall’altro il diffondersi di una cultura dei diritti e dell’eguaglianza dovuta al sempre crescente benessere economico, hanno portato ad un tendenziale abbassamento dei livelli di apprendimento – di cui le nuove regole oxbridge sono un esempio eclatante – e ad una forte sottolineature delle metodologie e del contesto affettivo-relazionale, come se fossero antitetiche a contenuti seri.
Ma l’Occidente dovrebbe cominciare a domandarsi, ed in alcune parti sta cominciando a farlo, se le pratiche di equità (o egualitarismo?) che stanno portando quanto meno a trascurare l’attenzione al livello degli apprendimenti, non stiano facendo scadere la qualità dell’istruzione. Soprattutto a fronte di un Oriente che lo sta superando, fruendo di un contesto ideologico-valoriale persistente e di una spinta all’efficacia a fini di sviluppo, sulla falsariga di quella occidentale dei due secoli precedenti.
Il mondo della nostra scuola è dolcemente avvolto in una bolla? Là fuori, nel mondo grande e terribile, si afferma la consapevolezza che un’epoca – la più dolce per noi occidentali, soprattutto se europei – è finita, e si avvicinano tempi più sfidanti, mentre nel mondo della scuola, quella italiana sicuramente, continuano a trionfare le parole d’ordine abituali: equità, inclusione, relazioni etc.
Il troppo stroppia; ne è autorevole testimonianza un intervento su Education 2.0 “Il tramonto dell’inclusione” di Raffaele Iosa, storico ispettore, che si è occupato da sempre del problema. Iosa fa diventare numeri e cose concrete le impressioni di Crepet sull’inflazione delle certificazioni, della medicalizzazione, di tutte le deviazioni dalla ipotizzata normalità, con l’obiettivo spesso di un’ulteriore facilitazione del percorso scolastico. Oggi abbiamo 380mila studenti certificati, senza contare BES e DSA, “più di tre volte che nell’ultimo anno scolastico del ‘900 (116.000), pur con mezzo milione di studenti in meno”.
Nel frattempo, dopo un autunno che ha molto messo alla prova con esiti positivi l’efficienza di Invalsi, che in Italia è il referente scientifico di tutte le valutazioni standardizzate internazionali, si può dare un’occhiata alle graduatorie internazionali:
PISA 2022: Singapore, Hong Kong, Taiwan, Sud Corea, Vietnam, e poi Gran Bretagna, Repubblica Ceca, etc., con gli USA ben distanziati;
PISA, pensiero creativo autunno 2023: Singapore, Sud Corea, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Estonia, Finlandia, etc.;
TIMSS 2023, matematica: Singapore, Taiwan, Cina (che sottopone alle indagini solo le aree più sviluppate come Shanghai), Giappone, Hong Kong; seguono i Paesi europei, con gli USA dopo Italia ed Emirati Arabi Uniti. Per forza Musk invoca gli ingegneri indiani!
ICILS, competenze informatiche autunno 2023: Taiwan, Sud Corea, Repubblica Ceca, Belgio, Danimarca;
PIRLS, competenze di lettura 2021: Taiwan e Hong Kong, seguiti da Russia e Paesi europei.
Le indagini internazionali in qualsiasi campo certificano dunque la superiorità delle nazioni asiatiche a fronte del vecchio mondo occidentale, Europa e Stati Uniti. All’interno dell’Europa, è interessante la buona posizione dei Paesi del Nord, ma anche di una parte dell’area ex-comunista, soprattutto viste le premesse. Il mondo dell’Oceania si colloca su posizioni buone, a metà fra le due aree (grazie alla forte immigrazione degli asiatici che la considerano un “Occidente pulito”). Le zone del mondo che negli anni 60 e 70 venivano viste come promettenti anche da questo punto di vista, cioè i Paesi africani decolonizzati ed i Paesi del Sudamerica in preda a rivolgimenti sociali, ristagnano, anche per una permanente polarizzazione sociale (interna questa volta), nonostante i significativi investimenti delle organizzazioni mondiali nel periodo dell’ordine liberale, egemone culturalmente a seguito alla caduta del Muro di Berlino.
Altrettanto egemone culturalmente era infatti nel periodo l’ipotesi che lo sviluppo universale dell’istruzione avrebbe portato allo sviluppo economico-sociale, ipotesi poco verificata peraltro nei lunghi anni in cui fu applicata. Sembrerebbe avanzare addirittura oggi l’ipotesi che sia vero l’inverso.
La consapevolezza di questa situazione è molto scarsa nel nostro Paese, ma anche in Europa. La responsabilità è prima di tutto delle istituzioni. Il primo rapporto europeo sul tema, che mette a fuoco quanto ci si è limitati a riprendere sommariamente sopra, è del gennaio del 2024 a cura del Direttorato generale dell’UE per l’Educazione, The twin challenge of equity and excellence in basic Skills in the EU. An EU comparative analysis of the PISA 2022 results.
Tuttavia la produttività del sistema scolastico europeo, per come è stata nei dati problematizzata da PISA 2022 e messa a fuoco dal Rapporto UE sopra citato, non sembra per ora all’ordine del giorno.
I cittadini europei hanno vissuto dal 1946 per più di 70 anni in una condizione economico-sociale ottimale, quanto meno sicuramente unica nella storia dell’umanità, seduti sulle ricchezze economiche e culturali accumulate – non si indaga qui come – negli ultimi secoli.
In questa situazione privilegiata, le nuove generazioni avrebbero dovuto accrescere le loro competenze in vista di uno sviluppo economico di alto livello, utilizzando sia la possibilità di una scolarizzazione allungata e qualificata, sia la diminuzione demografica, che permette una concentrazione delle risorse disponibili delle famiglie e delle società sui singoli. E lasciando i lavori meno qualificati alla nuova immigrazione, che li avrebbe accettati come “tassa di entrata”, senza creare contraddizioni e concorrenza fra i due mercati del lavoro.
Questo è avvenuto in alcuni Paesi, come l’Estonia, ma certamente non in tutti e sicuramente non è avvenuto in Italia. Infatti in Europa in questo lungo periodo la scolarizzazione universale si è consolidata ed allungata, ma gli investimenti effettuati non sembrano avere raggiunto i risultati attesi.
Negli ultimi decenni quali sono state le idee forza a livello pedagogico che hanno avuto un peso determinante nel campo della scuola? Semplificando, possiamo dire: inclusione, benessere a scuola e metodologie coinvolgenti, con attenzione all’affettività. I due poli sono complementari: l’inclusione/integrazione si è dimostrata possibile solo con un cambiamento di clima che porta anche, se non sostanzialmente, ad una maggiore facilitazione.
L’Europa sembra oggi decidere di incrementare le proprie difese, di riflettere su certi eccessi dei provvedimenti motivati da ragioni ambientalistiche, ma non sembra altrettanto pronta a riflettere realmente sul suo futuro nel campo della formazione. Il processo di facilitazione dei percorsi, reso necessario dall’universalizzazione dell’istruzione, soprattutto nei Paesi in cui il percorso generalista (i licei “leggeri”nel nostro caso) ha avuto la meglio sulla formazione per il lavoro, è parso inesorabile. L’attenzione assolutamente prioritaria ai diritti sotto le più diverse forme, al benessere psicologico dei giovani, è andata di pari passo a una crescente difficoltà ad arginare le trasgressioni. Il tutto accompagnato ad una crescente trascuratezza se non ostilità per le eccellenze, sia quelle legate all’impegno che quelle radicate nelle caratteristiche originarie dei soggetti.
Non che i Paesi che ottengono buoni risultati lo facciano trascurando i livelli più alti e motivanti dell’apprendimento, trasformando le scuole in caserme, né che le prove che li vedono primeggiare abbiano caratteristiche di ottusa ripetitività, come sostiene ancora oggi una parte significativa dei nostri ricercatori ed accademici i quali non vi hanno palesemente mai gettato uno sguardo. Vale la pena invece farlo sulla parte introduttiva del Rapporto PISA 2022 sul pensiero creativo, ampiamente dedicata ai framework e ad esempi di prove.
In questi casi, accanto ad una attivazione della agency (come si dice adesso) cioè del protagonismo e responsabilità degli allievi, si preservano e valorizzano elementi di comportamento individuale e sociale seri, i core values, come li ha definiti il rappresentante di Hong Kong al convegno ADI del febbraio scorso. Valori che certo derivano dal patrimonio storico, religioso e morale e che, a quanto pare, sono cruciali per garantire sviluppo scolastico e perciò culturale ed economico-sociale.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.