Fatma era reduce da una mattinata a scuola nella quale la sua insegnante aveva fatto un excursus storico sulla persecuzione a cui era stato soggetto il popolo ebraico nella storia. Lei aveva fatto una domanda sul presente, su quello che stavano facendo gli ebrei contro i palestinesi e che a suo parere non era lontano da ciò che aveva fatto Hitler durante il nazismo; certo il suo tono era stato un po’ polemico, ma aveva ricevuto una risposta che non l’aveva soddisfatta.
“Che cosa significa che la questione di oggi in Palestina è diversa da quanto è successo nel nazismo? Non basta dire che è diversa e stop. In che cosa sarebbe diversa?” chiedeva amareggiata Fatma a Sara mentre percorrevano la strada per tornare a casa da scuola.
“Smettila di pensare a questa lezione, è finita e basta” le aveva risposto Sara che non voleva ritornare su quell’ora, nella quale si era annoiata al massimo.
“No! Io voglio sapere perché un popolo che ha subito tanta violenza oggi fa lo stesso con i palestinesi!” Fatma era determinata a capire, ma Sara non riusciva a darsi una ragione della sua insistenza, non le pareva una questione tanto decisiva e importante. Ieri aveva sbagliato Hitler, oggi stava sbagliando Netanyahu.
Alla fine Sara era riuscita a cambiare discorso parlando della festa di compleanno di un comune amico che si sarebbe svolta sabato sera in un locale pubblico appena fuori della città. Le due ragazze si erano appassionate a cercare il miglior modo di vestirsi per non sfigurare di fronte alle compagne.
Fatma era stata a casa a pranzo e aveva raccontato quello che era successo a scuola alla madre che le aveva consigliato di lasciar perdere, perché tanto certe cose non le capiscono tutte quelle persone che non sanno cosa significhi dover lasciare la propria terra, ma in compenso danno lezioni agli altri.
“Noi siamo vicini ai palestinesi non per questioni etniche” aveva detto a Fatma la mamma “perché noi abbiamo dovuto lasciare il nostro Paese, per questo noi capiamo chi sta oggi vivendo un dramma. Ma tu lascia perdere, tu pensa a studiare”. Fatma aveva risposto di sì, ma in cuor suo pensava un’altra cosa.
Al pomeriggio si era recata al centro di aiuto allo studio, dove aveva un appuntamento con un prof volontario di italiano. “Devo fare un lavoro di storia sulla persecuzione del popolo ebraico” aveva detto Fatma non appena entrata nell’aula dove Giulio la stava aspettando. “Bene, vediamo!”
Fatma aveva letto una decina di domande che andavano dalla distruzione di Gerusalemme e del tempio compiuta da Tito nel 70 d.C. alla costruzione dei ghetti, alla persecuzione nazista e all’attuale situazione in Palestina.
“Ma che cosa dobbiamo fare?” aveva reagito Giulio a quell’elenco di domande “Tutte? Come facciamo? Sono troppe! Sei sicura?”
“Sì, ma mi serve solo l’essenziale” aveva allora precisato Fatma, a cui Giulio aveva chiesto cosa avesse mai spiegato la sua insegnante. “Sì, Fatma, ma devi aiutarmi” aveva allora detto Giulio, ribadendo la sua richiesta di precisare almeno quel che, secondo lei, interessava all’insegnante. È a questo punto che Fatma aveva raccontato dello scontro con la sua prof, precisando che lei voleva semplicemente capire.
“Qual è la tua domanda?” aveva chiesto allora Giulio “prova a precisarla.”
“Mi chiedo il perché di tutta questa violenza oggi. Perché tutto quello che è accaduto nella striscia di Gaza? E come è possibile che un popolo che ha subito una così grave persecuzione oggi faccia altrettanto?”
“Lo chiedi perché cerchi una risposta o pensi di averla già?” aveva allora chiesto Giulio, e Fatma lo aveva guardato non capendo molto il motivo della sua osservazione.
Giulio aveva compreso che la sua osservazione non era arrivata a Fatma, allora aveva precisato che era giusta la domanda che lei aveva e che quindi studiare tutta la storia di persecuzione cui era stato oggetto il popolo ebraico non risolveva la domanda sul perché di Gaza.
“Bisogna guardare ogni fatto nel suo aspetto specifico” aveva allora chiarito Giulio, “non è che uno neghi l’altro. Forse era questo che voleva dirti la prof, ti ha sollecitato a giudicare la Shoah e poi ti ha posto come domanda anche quella sulla guerra in Palestina oggi. Prima una cosa, poi l’altra, ma non come se fossero la stessa cosa. Quando si mettono insieme le cose si fa confusione e non si capisce la singolarità di ognuna. Solo questo!”
Fatma aveva capito. “Va bene, facciamo tutto con la mia domanda di capire!”
Così Fatma e Giulio avevano riguardato tutto, cercando in ogni evento generale il suo aspetto specifico, ma soprattutto quel che Giulio le aveva comunicato. La questione dei Giusti testimoniava proprio quel che dice ancora oggi il parroco di Gaza: è sempre qualcosa di positivo, qualcosa di umano che illumina un dramma, facendo guardare in modo diverso una tragedia.
Quando Giulio aveva cominciato a parlare dei Giusti e del loro sacrificio per salvare gli ebrei, Fatma era rimasta a bocca aperta: non sapeva, nessuno le aveva parlato di questo, tutti le avevano raccontato di morte, invece i Giusti sono testimoni di vita.
“Eccolo il lavoro, cerca a Gaza non chi uccide ma chi ama la vita!”
Fatma se ne era andata con la sua domanda e un lavoro da fare: una nuova ricerca su Gaza.
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