A proposito di scuola, Daniele Novara, pedagogista e fondatore del CPP (Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti), lo dice da tempo e continua a ripeterlo con lucidità nell’intervista rilasciala al Corriere della Sera, mentre l’ennesimo episodio scolastico – la maestra di Treviso che ha sgridato un alunno per un compito pieno di errori – riapre le polemiche e giudizi su cosa sia giusto o sbagliato a scuola, ma Novara non si concentra sul caso singolo e va dritto al punto della questione.
La scuola italiana, oggi, non è più in grado di rispondere ai bisogni dei bambini perché è ancora ferma a un modello educativo superato, fatto di lezioni frontali, voti dati per correggere, errori visti come colpe da eliminare ed in una situazione così, non sorprende – dice – che i bambini non si ribellino, ma si ritirino, assumano quello che lui definisce uno “sguardo catatonico”, quasi si spegnessero per proteggersi da un ambiente che li giudica prima ancora di provare a comprenderli.
Daniele Novara insiste su un punto, cioè l’idea che la scuola del passato fosse più efficace perché più severa è solo una narrazione nostalgica, non corrisponde alla realtà: quel modello, in fondo, chiedeva poco agli alunni – bastava imparare a memoria e stare in silenzio – ma non insegnava davvero a pensare, ma oggi invece servirebbe una scuola in cui si lavora sul serio, come quella montessoriana, fatta di laboratori, movimento, esperienze dirette, un luogo dove si impara facendo e sbagliando, senza che ogni errore diventi una macchia da cancellare.
Invece, aggiunge Novara, pare che l’Italia stia andando nella direzione opposta, tornando a richiedere rigore formale, memorizzazione, comportamenti da “alunni modello”, ignorando il fatto che il mondo nel frattempo è cambiato, e con lui i bambini, i linguaggi, le relazioni, i bisogni di chi apprende e se proprio qualcosa del passato andrebbe salvato, spiega, è l’importanza della scrittura manuale – quella andrebbe protetta anche dal dilagare di tablet e dispositivi digitali, perché scrivere a mano ha un impatto diretto sullo sviluppo cognitivo – ma la scuola che giudicava, quella che “raddrizzava” invece di educare, è un modello da lasciarci alle spalle, non da riproporre.
Scuola ed educazione: i genitori non devono essere colpevolizzati, vanno accompagnati a educare meglio
Daniele Novara sposta il discorso dalla scuola alla famiglia, perché secondo lui il problema educativo è più ampio, riguarda tutto il sistema adulto e non può essere risolto semplicemente aumentando i voti, inasprendo le regole o trattando i ragazzi come se fossero già colpevoli: il punto, dice, è che oggi troppi adulti hanno smesso di educare, spesso per fragilità, per mancanza di strumenti, o per paura di sbagliare.
In particolare i padri, racconta, faticano a occupare un ruolo educativo chiaro: cercano di essere amici, complici, a volte persino servizievoli, ma dimenticano che i figli hanno bisogno di adulti autorevoli, non di figure che li assecondano in tutto e si è persa quindi quella distanza educativa che un tempo determinava un confine utile e rassicurante per crescere, ma ad ogni modo, Novara non cerca un colpevole – anzi – sostiene che accusare le famiglie è il modo più veloce per peggiorare la situazione.
Per questo ha creato la sua Scuola Genitori, uno spazio dove offrire aiuto concreto, spiegare cose semplici ma fondamentali – quante ore deve dormire un bambino, perché è importante ridurre l’uso degli schermi, cosa succede se si salta la colazione – cose che sembrano banali ma che fanno la differenza tra un bambino che arriva a scuola pronto a imparare e uno che fatica a stare attento già dalle otto del mattino.
E proprio perché le famiglie oggi sono disorientate, sarebbe utile che fossero gli insegnanti, per primi, ad avviare un patto educativo vero, basato non su giudizi ma su collaborazione, ascolto e scambi reciproci; Daniele Novara guarda con preoccupazione anche al ruolo del registro elettronico che – secondo lui – ha trasformato i genitori in osservatori costanti, presenti in ogni ora di scuola come se dovessero controllare tutto e sostiene che questo livello di controllo non aiuta i bambini a diventare autonomi, ma anzi li blocca, perché li lascia sempre sotto osservazione.
Sui cellulari, invece, approva il divieto in classe, ma avverte: se poi i ragazzi passano tutto il resto del giorno davanti a uno schermo, il problema resta intatto e infatti, cita con interesse l’iniziativa francese che punta a vietare l’accesso ai social sotto i 15 anni, chiedendo perché in Italia ancora non si discuta apertamente di questo. Per Daniele Novara, tutto si riduce quindi alla direzione da intraprendere: se davvero la volontà è quella di aiutare i bambini a crescere, o o pretendere solo che si comportino bene senza disturbare.