Caro direttore,
per chi ha visto le mie stories su Instagram, sa che sabato con i miei figli abbiamo partecipato alla Colletta alimentare. In pratica, in molti supermercati italiani si raccoglie da mangiare per chi ha più bisogno e servono volontari che coordinino le operazioni di raccolta.
Non era previsto che partecipassimo, ma all’ultimo i miei genitori sono passati a prenderci e sono andato con i due maschi, mentre mia moglie è rimasta a casa con Diletta.
Durante il viaggio in macchina mia mamma ha spiegato ai miei figli, Filippo e Riccardo, le attività che i volontari svolgono durante la giornata: c’è chi all’ingresso distribuisce i volantini e i sacchetti gialli, c’è chi li ritira pieni di alimenti alle casse e c’è chi ne distribuisce il contenuto negli scatoloni.
Vedo Filippo e Riccardo abbastanza passivi alla spiegazione di mia madre e anche un po’ scocciati. In effetti, cosa possono fare due bambini di 4 e 5 anni in un supermercato? In più sono stati svegliati prima del solito e sono usciti di casa senza fare merenda, per cui hanno fame e hanno sete e, come credo tutti i bimbi della loro età, senza la merenda diventano nervosi. Hanno fame e forse anche un po’ di astinenza da grassi saturi, per cui mi preparo a correre dentro il supermercato a comprar loro la merenda e una bottiglia d’acqua.
Appena entriamo al Carrefour, invece, Filippo si dimentica della fame e della sete e si fionda a vedere cosa gli altri volontari già presenti stessero facendo e, rivolgendosi a me, dice: “Dai papi, non stiamo facendo niente, lavoriamo”.
Stupito da tanta voglia di fare, insisto perché facciano prima merenda, sia perché non voglio la facciano troppo tardi, sennò poi non fanno cena, sia perché temo che possano stufarsi in fretta di riempire scatoloni con bottiglie d’olio e scatole di pelati, per cui la merenda mi “serve” come riempitivo per prendere tempo, dovendo star lì 4 ore.
Divorano il gelato avanzandolo (non credo che abbiano mai avanzato del cibo in vita loro, figuriamoci un gelato) per la smania di mettersi a fare e iniziano a riempire scatoloni, poi passano alla distribuzione dei volantini per poi trovare la loro dimensione nel ritirare i sacchetti pieni dai clienti e sistemarli negli scatoloni con i prodotti corrispondenti.
Il direttore del supermercato, vedendo Filippo che si era stufato di consegnare i volantini, si complimenta con lui per il lavoro svolto fino a quel momento, raccomandandosi però di non mettersi da solo a ritirare i sacchetti pesanti dei clienti.
Come previsto, dopo un po’ Riccardo si stufa; ha sonno, gli manca la mamma e sente il bisogno di correre, cosa che nel poco spazio disponibile nel supermercato non può fare, mentre Filippo inizia a prendere il ritmo, schizzando da una cassa all’altra per ritirare (da solo) i sacchetti gialli dai clienti, andandoli a sistemare negli scatoloni.
È in quel momento che mi accorgo di un problema.
Le persone quando vedono Filippo, nonostante la vistosa pettorina da volontario, sono restii a consegnare a lui i sacchetti della spesa e cercano sconsolati un volto adulto. Alcuni vogliono dimostrare ai volontari che gli hanno consegnato i sacchetti all’ingresso di aver adempiuto al loro dovere di cittadini, mostrando orgogliosi la loro buona opera, altri non si fidano a lasciare a un bambino che non ha ancora 6 anni un sacchetto con poche cose dentro. Evidentemente non lo reputano in grado di reggere il peso di 2 chili di pasta o temono possa far cadere la bottiglia d’olio e romperla.
Mi concentro sullo sguardo di mio figlio. Passa da fissare il sacchetto giallo pieno di alimenti al volto del cliente, con uno sguardo carico di attesa e di domanda. Gli si legge negli occhi il desiderio di essere utile e l’attesa di approvazione a ritirare il sacchetto per poterlo portare nella zona scatoloni dove, con cura, avrebbe sistemato ogni singolo prodotto, correndo nuovamente nella zona casse per cercare altri sacchetti gialli gonfi di prodotti da ritirare.
Tra i volontari ci sono delle ragazze che stanno studiando per diventare maestre delle elementari. Sono affascinate dal lavoro di Filippo, e sento che a un certo punto, parlando tra di loro, dicono: “È il contrario di quello che stiamo studiando, non è cosa noi possiamo insegnare ai bambini, è cosa loro possono insegnare a noi”.
Non ho pensato ad altro per tutto il weekend. Troppo spesso pensiamo che i bambini nascano vuoti, che non sappiano fare niente e abbiano bisogno di noi che insegniamo loro tutto ciò che sappiamo. Pensiamo che non siano in grado di fare, di lavorare, che non ne abbiano voglia. Che vogliano solo guardare cartoni e giocare con il tablet, mentre, se li osservassimo di più, scopriremmo che hanno una voglia matta di lavorare, che sono capaci di fare tutto perché hanno osservato in silenzio altre persone lavorare e hanno imparato come fare, e che a volte basterebbe solo lasciargli un po’ di spazio per fare e per sbagliare, dando loro fiducia.
Fiducia che un loro errore non farà di noi genitori dei falliti, fiducia che non si sciuperanno a portare 2 chili di pasta in un sacchetto giallo, fiducia che non faranno cadere la bottiglia d’olio, e che se anche dovesse succedere a volte è meglio un bambino che rovescia l’olio di un adulto che rovescia l’odio, perché il valore di un bambino che lavora per diventare grande vale molto di più dei 5 euro di olio sprecati e dei 5 minuti impiegati a pulire lo sporco.
Anche perché, se abbiamo imparato qualcosa da questa storia, sappiamo che a 5 anni sei perfettamente in grado di prendere uno straccio e pulire l’olio dal pavimento senza tagliarti con i cocci di vetro, perché non sei incapace, sei semplicemente un bambino che lavora (sodo) per diventare grande.